Dal Sahara Occidentale alla Mauritania

Western Sahara

Una strada piuttosto panoramica unisce Essaouira ad Agadir. Le immense piantagioni di Argane, tra terreni aridi e pietrosi lasciano il posto a un litorale di cespugli e sabbia rocciosa che si butta nell’Atlantico rude e selvaggio. Sono stati giorni di pioggia anche intensa, il mercato offre banane e mele e melograni e ancora banane, ovunque. Le spiagge e i grandi complessi di condomini sono andati in letargo e si risveglieranno solamente nella prossima stagione estiva. Solo temerari surfisti cercano l’onda, in una rabbiosa giornata autunnale, dove le sfumature di grigio predominano. E poi giù, verso il Sahara Occidentale, la terra di nessuno, terreni aridi, sassi rossi su terra rossa, cespugli pungenti contenti dell’acqua che è arrivata, finalmente, dopo mesi di siccità. La strada è fangosa, più si va verso sud e più l’asfalto è marrone, di quel fango melmoso, che si asciugherà al primo sole, e sparirà con la prima folata di vento. 

Il Sahara Occidentale è la terra misteriosa, senza padrone, tutti la vogliono, un luogo conteso da anni. Ex colonia spagnola, fino al 1976 (era detta Sahara Spagnolo), quando il territorio fu spartito tra Marocco e Mauritania, quest’ultima, dopo una lunga guerriglia, nel 1979 rinunciò alla sovranità sulla sua parte di territorio. Nel 1976 è stata fondata la Repubblica Democratica Araba Sahrawi dal Fronte Polisario (sostenuto dall’Algeria), che contende la sua sovranità su questo territorio con il Marocco. Ma le Nazioni Unite considerano questo, territorio non autonomo, da decolonizzare. Questa regione è oggi il più grande territorio non indipendente al mondo. Un muro nel deserto separa i due terzi di territorio « marocchino » da un terzo « liberato » dal Fronte Polisario, quest’ultimo costituito da tribù berbere principalmente rifugiate in tendopoli allestite nel deserto algerino. L’interno del Sahara Occidentale e le zone di frontiera sono facili prede di bande locali, quindi occorre essere molto vigili e non attraversare molte zone se non in gruppo. E nell’interno occorre anche fare attenzione alle mine antiuomo inesplose. 

Attraversiamo Tan-tan alle 08:40 del mattino:  all’ingresso della città due enormi orrendi dromedari bianchi, statue senz’anima. È una città ancora dormiente, pochissimi bar aperti con un paio di uomini seduti sotto il sole mattutino nel rituale del the, quasi una città fantasma. La strada diventa un litorale lungo, immenso, con a destra strapiombi sul mare. Pescatori solitari con le canne verso l’infinito, tanti.

Poi il paesaggio cambia, il deserto si fa più deserto, con in lontananza le dune come lenzuola di seta appese tra terra e cielo. La strada è asfaltata, ma all’improvviso  ridiventa sabbiosa: il vento, rude, forte, generoso, copre tutto con la sua voracità.

 

Il deserto profuma, quell’odore impercettibile che sa di forza, di vigore, di caldo e di freddo, e di sale: all’improvviso una grande salina, un bianco accecante e odore di acqua. Spazi sterminati, con il vento che cambia la forma delle dune, tra il sole del giorno ed il freddo, improvviso, crudo, pungente della notte… con le costellazioni che osservano ogni singolo movimento. 

 

 

E ancora qualche sparuta casa di fango color rosa antico, che guarda l’oceano e le rocce a strapiombo, dove una famiglia di pescatori vive tra cielo e mare, che spesso si mescolano. 

Questa notte, nel deserto, mi sono persa nel nulla, ed i miei sogni sono stati a colori. 

La strada prosegue verso sud. All’improvviso, in mezzo al niente, un controllo di polizia, e dopo pochi chilometri, un altro…..sulle strade più poliziotti di civili. E poi Laayoune, un’altra città anonima, un ospedale militare immenso con mura da prigione per chilometri, fino a dove ricomincia il deserto di sassi e riappare il mare, quell’oceano burrascoso che mi cullerà tutta la notte. Piantare la tenda vicino ad una scogliera e parlare con il mare, sotto la via Lattea, che brilla, prima di chiudere gli occhi. 

E poi continuare verso Dahkla, quasi 500 km, la metà della strada in costruzione, anche se non c’è nessuno sulla via, con deviazioni in mezzo a sabbia e terra e sassi. Una lenta corsa in mezzo al niente, sotto il sole. 

La capitale del Sahara Occidentale, a circa 30 chilometri a nord del Tropico del Cancro,in pieno deserto sulla costa, un posto di vento, di vento e di mare. E ancora controlli, tanti, in mezzo al nulla, lo sparuto chiosco con i due poliziotti che controllano i documenti e, come nel fantastico film di Benigni e Troisi: « Chi siete? Quanti siete? Da dove venite? Dove andate? » stranamente nessuna richiesta di fiorini!!! 

Dahkla per me rappresenta anche un sogno: qui, in questo piccolo centro (all’epoca, oggi cresciuto), lo scrittore di uno dei miei libri preferiti ha avuto l’ispirazione e potrebbe proprio essere nato qui “Il piccolo Principe” dalla mano di Antoine de Saint Exupery. Cerco di immaginarla così: un piccolo regno, una rosa che parla, una volpe vanitosa, una stella che brilla più delle altre, E tanti altri personaggi, semplici ma incredibilmente affascinanti. Ho ritrovato alcune frasi del Piccolo Principe, in cui mi ritrovo, in questo momento: 

“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice”.

“Mi domando se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua”.

“Ho sempre amato il deserto. Ti siedi su una duna di sabbia. Non vedi niente. Non senti niente. E tuttavia qualcosa brilla in silenzio”. 

Dahkla è lunghe spiagge strette e sabbiose, lambite da onde rabbiose che ne stanno facendo un ritrovo internazionale di Kite e windsurfers. L’ambiente è giovane, rustico, sportivo, con quel tocco marocchino dato dal blu delle maioliche e quel tocco nordico che sa di ostriche. Enormi, fresche, tante ….. un trionfo di sapore. E fuori città serre di pomodori ciliegia, che vengono principalmente esportate in Francia ed in Italia. 

Entrando nella penisola, una sottile lingua lunga poco più di 30 km prima di arrivare a Dahkla, uno spettacolare campo da golf nella sabbia, in un ambiente ovattato. Piccole dune di sabbia bianchissima come farina e, in lontananza, quadrati di  verde brillante, i Green. 

Il campo da golf ecologico è stato inaugurato da circa due anni, un ambiente davvero unico. Ma tutta Dahkla è in espansione, la sua particolare posizione, in fondo alla penisola, sta interessando investitori di lusso, che hanno già costruito un paio di Resort esclusivi per chi vuole atterrare (l’aeroporto collega Casablanca e a breve altri aeroporti internazionali) nel deserto sull’Oceano. 

Per giorni mi sono nutrita del silenzio parlante del deserto. Ho trascorso le serate davanti al fuoco, il caldo del giorno piombava in un freddo tagliente ma ho seguito il fumo del mio thé bollente che saliva su fino al cielo stellato dove i miei occhi si perdevano ad inseguire i sogni, nascosti dietro una luce che brillava come un diamante. 

 

 

 

E la strada prosegue, dritta, lunga, altri 300 e più km di zona desertica, con gruppi di dromedari e capre, in mezzo al vento, in mezzo alla polvere. 

La frontiera tra il Western Sahara e la Mauritania è come vivere in un souk: tutto si muove veloce ma nulla si conclude velocemente.

Mauritania 

la frontiera tra il Sahara Occidentale e la Repubblica Islamica della Mauritania è un film dai colori sfuggenti. Apre alle 9:00 ma alle 08:00 del mattino ci sono già lunghe code di camion di tutte le fogge: dai tir belgi, ai camioncini degli anni ‘60 carichi all’inverosimile, alle Mercedes un po’ datate che arrivano anche dalla Francia per proseguire e magari finire tra le mani di un senegalese. Passato il controllo di uscita si attraversano un po’ di chilometri di terra di nessuno. Una striscia di deserto completamente abbandonata a se stessa: rottami di auto ovunque, Mercedes e Peugeot e Audi e Toyota, molte ancora in ottimo stato ma parcheggiate li, con vetri rotti o gomme a terra, non si sa perché.

 

E poi vedi passare un paio di Toyota belle, pulite, bianche come il latte scremato, con la scritta UN (ONU): sfrecciano e scompaiono, lasciandosi la scia del caos dietro. E la strada sparisce all’improvviso… Il deserto incombe nella terra di nessuno, i chilometri più incredibili mai visti. I camion zigzagano tra sabbia, sassi, montagnette di ciottoli, inventandosi una possibile strada. Un’auto accelera a destra ed un’altra sorpassa da sinistra, si ritrovano di fronte e, come un telefilm degli anni 1980 di Starsky and Hutch cercano il loro spazio. La fila per fare il visto viene definita da un tipo magro e lungo, che ci presenta il suo cane, un simpatico meticcio di taglia medio grande, di nome Elsa, che ha appena partorito ed ha ancora le mammelle gonfie. Le donne a sinistra, gli uomini a destra, tutti in fila, davanti ad una porta che verrà aperta dopo un paio d’ore. Poco prima dell’apertura 4 donne locali, con classico velo che copre tre quarti del viso, arrivano e si piazzano davanti alla porta, saltando la nostra fila, di ben 13 donne bianche. Quando finalmente la porta si apre esce lui, e urlando in una lingua impronunciabile intima alle 4 donne di mettersi in fila, dietro di noi, uniche turiste. L’entrata è 4 per volta e loro ci riproveranno, ogni volta che noi entriamo, cercheranno di passare davanti, sculettando nei loro metri e metri di stoffa colorata, che sventola ad ogni passo, come una bandiera su un’asta, ed ogni volta verranno ricacciate fuori in malo modo. Il lungo rito del visto, con un addetto che prende le impronte digitali e la foto e l’altro che incassa: 55€ o 70USD, questi ultimi devono tassativamente essere nuovi di zecca. Alla vista del mio passaporto un’osanna: Alex Del Piero, Buffon e (in piedi) Roberto Baggio! 

Alle 14:30 il passaporto finalmente ha il visto: una foto in negativo rosa. Non è ancora finita. Ci vorrà un’altra ora prima di avere il visto bollato per l’entrata. Ma l’attesa non è stata inutile. Ho chiacchierato un’ora almeno con Hassam, un forse trentacinque/quarantenne, vestito molto europeo, con finti rayban portati con malizia. Mi racconta che sta tornando da Barcellona con l’auto che ha appena comprato: una Mercedes di 225000km che diventeranno 228500 alla fine del suo viaggio. È contento dell’affare che ha fatto: ha già un paio di possibili acquirenti e così il prezzo di vendita può salire. Questa volta è stato molto fortunato ad avere trovato un’auto in quelle condizioni. Hassam ha 4 figli, nella stagione estiva lavora in un ristorante di Maiorca, ma a fine stagione torna a casa, in Mauritania. I soldi non bastano per la famiglia, ma lui fa fino a 3 viaggi al mese. Parte in aereo, arriva a Barcellona o Madrid (a seconda della tariffa aerea che riesce a trovare), e poi si mette alla ricerca dell’affare. Ha amici nelle due città che lo aiutano. Trovato l’oggetto del desiderio si mette in viaggio e attraversa le frontiere fino a casa, circa 3500km. Sorriso smagliante anche quando mi dice: questa volta sono stato fortunato, ho dormito bene, perché la Mercedes è una macchina comoda! In effetti le auto che hanno più mercato qui sono la Mercedes 250D e la Toyota Land Cruiser. E mi saluta con un “Au revoir! E benvenuti nel mio paese. Che il nostro sole vi scaldi il cuore”.  Avrei tante cose da chiedergli, ma non oso, perché le mie curiosità sono delicate. Ho letto che l’infibulazione anche se vietata, è ancora praticata al  54 % delle ragazze, e a quasi tutte le donne, nei paesi di campagna. Le più “fortunate” la fanno da medici accondiscendenti. E poi la tradizione locale che, in passato metteva le giovani donne mauritane all’ingrasso. Le ragazze erano costrette con la forza a mangiare cibi calorici e in grandi quantità, tutto il giorno a ingurgitare cibo, una pratica orribile, tipo quella delle oche per il fois gras. In realtà la pratica, normale fino agli anni 70/80, è ancora praticata in molti villaggi. All’epoca era un deterrente contro i rapimenti. Una donna cannone era difficile da portar via sopra un cammello. Ma ancora oggi la donna molto grassa trova marito facilmente e questo Hassam me lo conferma: “le donne europee sono troppo magre”. 

L’impatto oltre la frontiera è forte: sabbia, sabbia, vento e sabbia. Questo è deserto puro, tra dune che si formano e vengono spazzate via più volte nello stesso giorno. Tanti rottami di auto, alcune bruciate, e poi, purtroppo, plastica, tanta, ovunque. Spazzatura su sabbia fine, come polvere. Gli uomini hanno sguardi intensi, alcuni sono molto belli, con occhi neri e ciglia lunghissime. Sono gentili, danno il benvenuto in francese, alcuni anche in inglese. Non sento quell’atmosfera pesante e di paura che ho letto su alcuni libri, ma è evidente che il mio occhio è molto vigile, perché tutto si muove così velocemente. 

In 70 km circa si raggiunge la città di Nouadhibou, situata in una penisola. È una città importante, con aeroporto internazionale, anche se piuttosto malconcia.

Non ci sono turisti e si passeggia tranquilli tra automobili scassate piene all’inverosimile e donne appollaiate su banchetti di legno che vendono mele, arance e qualche pomodoro. Silenti, con la loro poca mercanzia, attendono un cliente, guardando il loro telefono. Già, perché c’è poco di tutto, ma tutti hanno un cellulare in mano. Sembra proprio che sia quello l’oggetto di prima necessità. Nella via principale qualche supermercato cinese. E tanti asini che attendono il loro carico. E capre che camminano in mezzo alle auto con i freni arrugginiti che stridono. 

 

 

Entro in un ristorante e dopo aver ordinato un couscous vedo che sull’alto frigo vetrina delle bevande, dietro al bancone del bar, c’è un grande poster che copre quasi tutto il vetro, che pubblicizza una birra, Cerveza X. Sorpresa (siamo in un paese che è al 99% mussulmano quindi l’alcool e’ bandito) chiedo al proprietario: “posso avere una birra, per favore?”. Lo vedo sbiancare e sbracciare con occhi terrorizzati: “Oh no, no, non abbiamo alcool”. “Ma il grande poster dietro di te….”. “No, no, io non so nulla, cioè è da un po’ che dobbiamo toglierlo, cioè mio fratello si è dimenticato di staccarlo, mmmmmh, non so bene come mai sia lì. In effetti c’è scritto qualcosa in spagnolo (i.e. Cerveza) ed io non capisco lo spagnolo. La foto? Beh, non l’ho mai guardata!”. Esilarante, avrei voluto filmare la faccia e la conversazione piena di espressioni spontanee e ridicolmente uniche.

Alle 8 del mattino la città dorme. Le facciate dei negozi chiuse mostrano i loro colori pastello, sgargianti sotto il primo sole. Tra le auto parcheggiate fanno capolino le capre ed i capretti che saltellano e, appena fuori città, carovane di dromedari, in partenza verso un deserto misterioso. La Mauritania è due terzi di sabbia, e l’altro terzo ….metà sabbia. 

Sulla lunga strada che attraversa il deserto, prima di arrivare alla capitale, i controlli di polizia sono serrati: ogni venti chilometri (a volte anche meno) aspettatevi un paio di poliziotti, vestiti di verde, tassativamente con il tipico copricapo nomade a turbante, che ripara dal vento e dalla sabbia, dal quale spuntano occhi intensi. Sono gentili, a volte chiedono la nazionalità ed il discorso è sempre legato al calcio: Manchester United, Juventus, Real Madrid……i loro sogni. 

La strada è meravigliosa…quasi cinquecento chilometri con un filo di cemento grigio in mezzo a sabbia.

 

Spesso, anche il filo grigio scompare, sotto una coltre di sabbia impalpabile, come farina ed occorre rallentare per aspettare che il vento smuova tutto, ed i riferimenti ricompaiano. Il canto del vento, a volte un grido rabbioso, altre una melodia che culla, per me cinquecento chilometri di felicità, con i pensieri che volano in alto, come il vento. È importante controllare il serbatoio: le stazioni di servizio sono rare, la prima da quando siamo partiti è a 170km.

Un gruppo sparuto di case, una pompa di benzina, un meccanico con le gomme esposte”in vetrina”, una moschea dall’intenso blu cobalto, uno spaccio che vende merendine color cioccolato e un ristorante con tajine di cipolle e pomodori e cipolle e pomodori ed un pizzico di pollo ed una griglia che scalda una sorta di pancake a sfoglia, sul quale viene spalmato del formaggio….”la Vache qui rit”, versione francofona del formaggino Mio!

Il vento è fortissimo, la sabbia entra ovunque, si appiccica sulle labbra, secche, che avevo coperto con più strati di burro cacao.

E poi la via diventa ancora più cruda, la sabbia ha mangiato parte della strada creando buche, piccole voragini che mettono a dura prova anche la più cattiva delle auto quattro per quattro. All’improvviso, uno strano mezzo di fronte a noi: lo spazzasabbia, esattamente come uno spazzaneve, dalla mente geniale di Mr. John Deere. Il vento è sempre più violento: un paese in mezzo al deserto, il vento ti sposta, ti porta chissà dove, e poi ti trascina nell’oscurità quando gli occhi si riempiono di sabbia, facendo perdere l’orientamento. impossibile anche tirar fuori la macchina fotografica. Peccato: è un film mai visto. 

 

 

La legge del deserto, silenziosa, mai scritta, ma stampata nell’aria, è che se si vede un’auto ferma sulla strada ci si ferma a chiedere se ci sono problemi. Un furgoncino che avrà la mia età, quindi molto datato, ed un uomo elegante nel suo turbante color blu Yves Saint Laurent che siede sul ciglio della strada. Quanto manca al prossimo rifornimento? Fortunatamente pochi chilometri. Basta una bottiglia di gasolio per vedere brillare un sorriso tra i baffi ingialliti dalla nicotina. 

Avvicinandosi alla capitale, la strada si accosta ed in lontananza si segue il mare ed i villaggi (pochissimi) espongono in vendita pesce essiccato, al sole, al vento, alla sabbia del deserto, con i bambini che urlano, incitandoci  ad acquistare la loro linfa. 

Nouakchott è una delle più giovani capitali: la Mauritania si formò come Repubblica autonoma nel 1958 e quattro anni dopo Nouakchott ne divenne la capitale. 

Nouakchott, la capitale nel deserto sul mare, sembra un vestito un po’ stropicciato e con molte macchie che neanche la candeggina è riuscita a togliere. Anche in pieno centro sento la sabbia ed il vento anche nelle calze. È caotica, come tutte le grandi città, ma qui fanno paura le auto perché nessuno ti garantisce che i freni funzionino, circolano mezzi fatiscenti dove l’unica cosa che funziona sempre sono i clacson, con quel suono forte che ricorda la campanella della scuola di 50 anni fa.

Il tassista accelera e frena, tra la polvere dei 39 gradi di oggi, con il vestito bianco candido e l’auto tappezzata di orrenda finta pelliccia nera.

  

Ecco che attraversare la strada diventa una roulette russa, malgrado i semafori funzionanti. E poi la polvere e la sabbia, la sabbia e la polvere. 

 

 

 

Il mercato del pesce è un’immersione in un mondo unico. Se si riesce a sopportare l’odore intenso, è interessante vedere la gente che sceglie e contratta velocemente. Uno dei mari più pescosi del mondo, manna pura. L’appuntamento è alle 17:00, ogni giorno. Basta seguire il pullulare di gente che aspetta il rientro delle piroghe, alta marea permettendo: centinaia di chili di pesce fresco vengono catapultati in cassette e consegnate al mercato.

 

 

E poi attendere che il cielo africano prenda fuoco

La strada che da Nouakchott porta verso il confine con il Senegal è una dura prova per ogni auto. Profonde buche come crateri in mezzo ad una strada vecchia attaccata dalla sabbia del deserto. La media di crociera è inferiore ai 15 all’ora…..e ci sono ben 200km da percorrere. I villaggi sono tutti uguali: un gruppo di case in fango bianche (o color pastello) e la moschea, capre e asini che mangiano la plastica ed il cartone che sta diventando un triste tappeto. Il villaggio di Tiguend è Africa pura, quella dei film, quella dell’immaginazione, quella che dovremmo aiutare. Lungo la strada banchetti con griglie fumanti che profumano di carne di agnello o di cammello o di pollo. Uno spiedino di cammello, in un pane fresco, croccante, deliziosamente profumato con delle cipolle stufate che si sciolgono in bocca: uno dei migliori cibi da strada mai mangiati. E poi, incredibile, le meravigliose baguette fragranti e profumate che, a differenza della Francia dove vengono trasportate sotto ascelle sudate, qui vengono date in sacchetti di plastica.

 

 

Il mercato interno è troppo per noi malati d’igiene: la carne ed il pesce, li da giorni, spuntano da sciami di mosche grosse come uova, un banchetto vende verdura: quattro zucchine, una decina di patate e tre carote. L’unica gioia per gli occhi è la frutta: mandaranci, mele, banane, melograni. Purtroppo orde di bambini ci attorniano chiedendo soldi, “money money”: in un paese dove le lingue parlate sono l’arabo, il wolof   ed il francese, non è un buon segno. I bambini sono tanti, veramente tanti, corrono per la strada. 

 

 

Attenti a quando comprate qualcosa in Mauritania. Il paese ha cambiato la moneta dal 1 gennaio 2018 dividendo per 10. Ma ancora oggi tutti ragionano con il vecchio conio. Se quindi vi viene chiesto 400, ricordatevi che dovete pagare 40, circa un dollaro. 

Il parc national du Diawling si trova al confine con il Senegal, non quello ufficiale. Occorre percorrere una strada di circa 80 km completamente sterrata e polverosa. Si attraversano degli acquitrini, una specie di piccolo Pantanal, dove sarete circondati da facoceri e soprattutto pellicani, tanti, enormi pellicani. E nei pochi agglomerati di un pugno di capanne,  griglie, appoggiate su alberi tagliati, usate per essiccare il pesce pescato.  È una strada pesante da percorrere sotto i 39 gradi con un alto tasso di umidità. Ed i sobbalzi continui di una strada che diventa sempre più angusta e sempre più piena di buche. A volte si è costretti a passare all’esterno, tra fronde possenti che lambiscono i vetri, perché la mezzaria è completamente invalicabile, anche per un possente quattro per quattro. Abbiamo scelto l’uscita dalla Mauritania/ entrata in Senegal da una piccola frontiera vicino a Diana, per evitare le lunghe code, dovute al forte traffico di passaggio dalla Mauritania con destino Senegal. E la scelta è stata ripagata: siamo solo noi, poco prima della chiusura della frontiera, a passare. E questo aiuta il responsabile che velocemente ci fa passare, anche i tre amici di passaporto neozelandese che, teoricamente, dovrebbero avere un visto d’entrata. 

Questa mattina mi sono svegliata ripensando a tutto il deserto attraversato, toccato, sentito, odorato. Avrei voluto vedere lì le quattro stagioni che modificano la natura, in quel deserto che ora purtroppo sto per lasciare per raggiungere il Senegal. Ripensandoci, mi è venuta in mente solo una frase: Eroica è la vita! 

 

4 risposte

  1. I tuoi racconti sono sempre straordinari amica mia, sembra di essere con te e vedere quello che vedi tu, sentire i profumi, vivere le tue stesse esperienze, questa e’ una dote eccezionale che solo i grandi scrittori di viaggio hanno💝💝

  2. Once again thank you ! Wonderful account of your journey so far and looking forward to the next ‘puntata ‘!!!

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