Gabon, Repubblica del Congo e Repubblica Democratica del Congo

GABON

Lasciato il Camerun, si entra in Gabon da una strada asfaltata che attraversa un paesaggio verdissimo per 350 chilometri. A partire dalla deviazione verso il parco nazionale di Lopé iniziano 100 chilometri  di sorprese. La strada è sterrata, terra rossa, che si illumina sotto un sole afoso, ma che può improvvisamente trasformarsi in un percorso da Giochi senza Frontiere. Le piogge qui sono annunciate da un lampo che lacera il cielo come una lancia trafitta nel cuore. L’urlo disperato del cielo lascia meno di un minuto per correre e ripararsi dai secchi di acqua che arriveranno nelle prossime ore. È la stagione delle piogge, fino a maggio (ora siamo metà marzo), l’imprevedibile arriva, tatua la sua firma e se ne va, giornalmente. La pioggia lascia una splendida natura rigogliosa, verde brillante lucido, come uno smeraldo, che assume sfaccettature diverse da dove lo guardi. Ma crea anche crateri nella terra rossa che si consuma, erode, sforma, dando origine a disegni degni di Dali’ ma così temuti dai guidatori che intraprendono quel cammino. Il camion viaggia a 15-10-5 chilometri  all’ora, s’infossa e si rialza, devia, zigzaga. La cambusa esplode nei salti e anche la maionese esce dai barattoli di vetro che si frantumano, e cerca il suo percorso in mezzo alle file di sedili con gli ammortizzatori sotto tensione. 

 

 

E poi appare lei, Junkville, la città mezza fantasma, con molte case abbandonate. Il villaggio è famoso per i pescatori di pesce gatto, ma non si vede anima in giro, sotto un’afa pesante figlia di un cielo plumbeo, che promette a breve, di rinfrescare, troppo bruscamente, l’aria. Gran parte dell’interno del Gabon è poco popolata, si sono spostati tutti verso le città e le periferie sono cresciute. 

 

Chi vuole raggiungere il parco non percorre più questa strada in auto, ma sale sulla Transgabonese, la linea ferroviaria che unisce Libreville a Franceville ed attraversa il paese per 669 km, 23 stazioni, un binario unico ed una velocità massima di 80 km/h. Nata per il trasporto dei minerali, principalmente manganese e uranio, fa un viaggio al giorno con carrozze per i turisti o la gente locale. A Lopé si lamentano degli orari, il treno ferma all’una e cinquanta del mattino ed i bambini dormono a quell’ora ! 

Il Parco nazionale di Lopé copre tratti di foreste pluviali tropicali, praterie di savana e foreste a galleria. La valle corre lungo il fiume Ogowee, a tratti sembra un presepe. 

Il paese di Lopé è un villaggio semplice, senza personalità, ma poco distante c’è un piccolo angolo di paradiso. Il Lopé Hotel Lodge è una chicca. I bungalow sono in legno, perfettamente incastonati in un prato all’inglese, con vista fiume e Monte Brazza (in realtà la definizione esatta dovrebbe essere collina, poiché non raggiunge i 450 metri di altezza). Una passeggiata lungo le rive verdeggianti del fiume, con spiagge di sabbia candida, ti rimette in pace con il mondo. E, quando maturano i manghi, gli elefanti compongono la cartolina. 

Il Lodge organizza Safari all’alba ed al tramonto per vedere la fauna locale. In un tardo pomeriggio, tra una splendida natura intatta (l’uomo interviene ogni anno dando fuoco ad una parte di foresta, che avanza troppo velocemente e rischia di inghiottire la savana, creando problemi alla fauna locale) abbiamo visto alcuni bufali ed un gruppo di elefanti, purtroppo in lontananza, nonché alcune scimmie. Il parco ospita anche i mandrilli, che speravo di vedere, ma, purtroppo la stagione degli amori sarà tra qualche mese, e  splendidi uccelli colorati.

 

 

 

La foresta pluviale copre gran parte del Gabon. L’economia nazionale si basa sullo sfruttamento di alcuni pregiati legni e sull’estrazione di petrolio e uranio. Purtroppo la gestione della ricchezza è in mano a pochi e mal distribuita, e di fatto la maggior parte della popolazione è in condizione di povertà

 

Su una strada asfaltata, ma piena di buche, all’improvviso il cartello che ricorda che siamo all’equatore.

 

 

La capitale del Gabon, Libreville, è una città moderna a tutti gli effetti, un po’ fuori dal contesto africano classico. La città è detta La Parigi d’Africa, purtroppo non per le sue bellezze storiche, quanto piuttosto per i suoi prezzi esorbitanti, che la fanno considerare una delle città più care al mondo.

Una navetta dal porto Mole, porta, via mare, in meno di mezz’ora, al Parco Nazionale Pongara, a La Pointe saint Denis. 

Istituito nel 2007, occupa una superficie complessiva di 930 km quadrati. Spiagge selvagge e mangrovie, un’oasi di bellezza alle porte della città, frequentata dai locali nei fine settimana. La spiaggia delle tartarughe è protetta e visite guidate (in stagione), portano a vedere la schiusa delle uova, in un ambiente incontaminato. Il parco ospita infinite specie di uccelli. 

 

 

 

E la spiaggia, degna di una cartolina caraibica, soprattutto in una giornata settimanale, quando il flusso weekendiero non ha ancora invaso il territorio

 

 

Qui è considerato quasi una figura mitologica, il Dio della pace, della salute, dei deboli. Sulla tomba di Albert Schweitzer i fiori profumano di vita, una pennellata di colore intenso nel cielo grigio, per ricordare un’eroe, che ha reso la  cittadina di Lambaréné, a duecentocinquanta chilometri da Libreville, un’importante tappa turistica. Alsaziano d’origine,  filosofo, medico, musicista, filantropo, scelse questa località adagiata sulle rive del fiume Ogowee, in una cornice fatta di natura, per fondare il suo ospedale. Il museo, l’antico refettorio, ed il vecchio ospedale sono caseggiati in legno, con splendida vista sul fiume, e la visita guidata (3€ circa) ci riporta nell’epoca gloriosa del grande eroe che ha salvato tantissime vite, dopo aver combattuto con una popolazione inizialmente scettica, abituata a stregonerie varie. 

 

 

E poi si riparte,  tra i silenzi della strada circondata da una natura che diventa sempre più verde e rigogliosa avvicinandosi  al confine con il Congo.

 

REPUBBLICA DEL CONGO

Per me i colori della Repubblica del Congo sono due, il verde ed il rosso. Le declinazioni infinite del verde nei paesaggi immensi e nelle colline che sembrano dipinte di fresco, dal verde smeraldo dove riflette il sole, al verde cinabro, passando per il muschio e il felce, fino al verde grigio asparago della foresta,  e le declinazioni infinite del rosso nella terra che le attraversa, dal porpora della polvere che si solleva nelle giornate afose, al mattone dopo il temporale, dal terracotta del mattino, al vermiglio sotto il sole. La frontiera dal Gabon alla Repubblica del Congo che abbiamo scelto ricorda un’atmosfera di altri tempi: la strada sterrata e un villaggio. Il responsabile chiede ad uno di noi di raccogliere tutti i passaporti e consegnarglieli. « Fa caldo qui, laggiù c’è un bar, andate a bere una birra fresca, quando avrò finito vi porterò io i passaporti ». L’atmosfera è rilassata, davanti ad un chioschetto un paio di donne all’inizio della loro terza età, sculettano al ritmo di una melodia stonata come le loro forme, ed alcuni uomini si rilassano con la loro birra. Faremo parte del quadretto per un‘ ora circa, fino a quando lui ci consegnerà i passaporti, senza mai controllare se siamo veramente noi i proprietari del documento che ha timbrato. « Bienvenus dans mon pays ». Grazie per questa accoglienza così straordinariamente inusuale. 

 

Capiremo dopo perché. Percorrendo la strada sterrata, tra piccoli villaggi, con poche case, di mattoni, i controlli saranno assidui, a volte anche meno di un chilometro uno dall’altro, con alcune distrazioni, come il simpatico poliziotto che prende in mano un passaporto, e parte verso « l’ufficio » del suo capo, lasciando incustodito il suo fucile! 

 

 

Scenari paesaggistici incantevoli, anche se la strada, tutta sterrata, è difficile da percorrere in questo periodo.

Saranno notti pesanti sotto gli scrosci di una pioggia violenta che cerca di trascinare via la tenda. Si, questa volta me lo sono chiesta se ne valeva la pena, ho avuto momenti davvero difficili, notti interminabili con pensieri deliranti tipo “sogno un ferragosto a Spotorno” (non per denigrare Spotorno, ma è evidente che per una che ama l’avventura ed i luoghi completamente fuori dalle rotte turistiche, un ferragosto  a Spotorno rappresenta l’antitesi per eccellenza ). Ma poi arriva sempre il giorno e quando vedo intorno la natura così incontaminata da sembrare un dipinto di Van Gogh,  gli occhi tornano a brillare. Una deviazione di oltre sessanta chilometri ci fa perdere più di una mezza giornata ed un’ulteriore attesa di un paio d’ore con alcuni camion carichi di legname bloccati lì da giorni. Quattro giorni fa è crollata una parte di  un ponte ma la fortuna ci assiste perché i lavori di ripristino da parte di un gruppo di lavoratori malesiani con una macchina movimento terra saranno ultimati tra qualche ora. Fortunatamente non è una strada molto trafficata.

E poi questi ritardi ti permettono di vedere gli stessi paesaggi in situazioni diverse: sole, pioggia, e quella magica nebbia …… la magia della natura! Questa natura così possente qui, così generosa.

 

 

E poi il vero oro dell’Africa, l’acqua.

La prima città che incontriamo è Dolisie, la terza città del paese. Dolisie è detta la città rossa per il colore delle strade e della sottile polvere che copre i muri delle case (vento e polvere qui sono i padroni). Non ci sono grandi attrattive, per noi è una sosta obbligata di un paio di giorni per fare il visto dell’Angola. Nel mercato cercheranno di vendermi carne di antilope, porcospino, scimmia ed altri animali selvatici, dalla vista, ma soprattutto dall’odore poco allettante. 

 

 

 

Lasciata Dolisie, la strada per Pointe Noire è tutta asfaltata. 160 chilometri di curve: sembra la Torino-Savona, con un paesaggio dipinto. La natura da’ il meglio di se. Le palme, alternate a foreste, sono la pennellata d’autore. Poche auto sulla strada, percorsa invece da molti camion che trasportano tronchi, che verranno lavorati nelle tante aziende della periferia di Pointe Noire.

 

 

 

 

A poche decine di chilometri da Dolisie, sorgono Les Gorges du Diosso, il “Gran Canyon” del paese.

 

 

A pochi chilometri dalle Gorges, le spiagge selvagge seguono il litorale. Una notte di campeggio cullata dalle onde.

Ed ora vi racconto un episodio divertente: mentre sto montando la mia tenda vista oceano, arrivano cinque ragazzini, spuntati all’improvviso dalla spiaggia, scalzi e con abiti laceri. Appollaiati sulla riva ci guardano: ”Quanto dista il villaggio? Se vi diamo i soldi andate a comprare delle birre fresche? Così vi guadagnate il 10% di  mancia. “. “Si,  si, sono un paio di chilometri “, risponde il più grande. Raccolgo “l’ordine”, 10 birre, poi lo guardo e gli dico: “ehi, qui ci sono tanti soldi, come faccio ad essere certa che non scappate con i nostri soldi?”. E lui, senza esitazione, chiama i tre più piccoli e mi dice: “ok, loro 3 rimangono qui come ostaggi, li riprendiamo al ritorno!”. I tre ragazzini si sono accovacciati vicino alla mia tenda e non si sono mossi fino al ritorno degli altri. E sono ripartiti tutti contenti, con la mancia e pacchi di biscotti ed acqua.

Pointe Noire è la seconda grande città della Repubblica del Congo, anche se in realtà è considerata la vera e propria capitale economica del paese per via del suo trafficato porto marittimo. Senza interesse turistico il centro, con alcuni resti di edifici  coloniali. Più interessante è la spiaggia fuori città, famosa per i tanti bar e gli ottimi ristoranti di pesce.

 

 

Lasciata la città, verso sud, si arriva ad uno stranissimo confine, la regione di Cabinda, un’enclave, la più settentrionale provincia dell’Angola, che si affaccia sull’oceano Atlantico e si trova  tra la Repubblica del Congo  e la RDC (Repubblica democratica del Congo). Cabinda è un ex possedimento portoghese, abitato da circa 700mila persone. Malgrado fornisca il 60% del petrolio angolano, è una regione dimenticata dall’Angola dal punto di vista socio-economico. Una forte rivendicazione di autonomia, prima nei confronti del dominio portoghese, e poi dal 1975 contro l’Angola, rende la zona molto fragile e completamente fuori dai circuiti turistici, che temono rivolte e guerre improvvise. E pensare che tutte le strade sono asfaltate, in città sembra ci sia una situazione migliore rispetto ai paesi vicini, tant’è che, parlando con un simpatico parrucchiere che mi accompagnera’  in giro una domenica pomeriggio, scopro che la manodopera arriva principalmente dalla Repubblica Democratica del Congo. Pure lui ha lasciato la sua terra perché qui si lavora, anche se il suo capo non lo ha mai ufficialmente assunto. Lavora qui da cinque anni, quando scade il permesso di soggiorno torna a casa e poi riparte.

Il confine è davvero particolare. Ci è stato detto che sarebbe stata una giornata lunga di attesa, con anche possibilità di rifiuto ad entrare. In realtà è stato tutto molto veloce, forse perché siamo arrivati un sabato pomeriggio e dopo poche ore il confine chiude, per riaprire solo il lunedì mattina. I passaporti sono raccolti da un addetto. L’attesa è tra donne stracariche di merce, carretti pieni di banane e maiali che passeggiano tra una frontiera e l’altra infilando le loro grosse nari in tutti i pertugi. La consegna dei passaporti con il visto timbrato avviene dopo meno di un’ora, quasi un record. 

Una piacevole strada asfaltata ci porterà attraverso paesaggi che alternano la costa ad un interno verdeggiante.

 

 

La città di Cabinda ci accoglie al tramonto, con la statua di Papà Giovanni XXIII . La città non ha nulla di interessante, tranne per gli amanti delle chiese, almeno una decina. Peccato perché le spiagge potrebbero essere una piacevole vacanza per i turisti, se non fossero, ahimè, invase dall’immondizia

 

Una sosta obbligata di due notti perché la domenica le frontiere sono chiuse. Mi concederò una giornata di relax all’Hotel Por de Sol e la sua deliziosa piscina.

 

RDC –  REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Il confine con la Repubblica Democratica del Congo è a meno di 30 chilometri. Sarà un altro giorno da incubo, cinque lunghe ore di attesa, anche se non c’è molto traffico, ma, dopo aver ritirato i passaporti, non riusciremo ad avere informazioni per almeno un paio d’ore, dopodiché inizierà il lungo iter di interrogatori, compilazione schede, foto. E, dopo un altro paio d’ore, la richiesta del documento di vaccinazioni. Intanto noi si resta in attesa, sotto l’afa delle ore centrali della giornata. Chiedo ad un poliziotto se  c’è un cambio dollari. Si guarda intorno, e mi accompagna dietro la frontiera. Chiama un ragazzo e gli dice: « la signora deve cambiare. Fai il solito ». Il ragazzo annuisce e gli passa la mazzetta.

Entrando la strada è tutta di terra, più o meno battuta, fino a Boma (circa 110km), perché in realtà troveremo di tutto. 

A esattamente 4,2 chilometri da Lempa (confine), all’improvviso, sulla strada sterrata, una sbarra blocca il passaggio. Ecco un gruppetto di tre poliziotti tranquillamente seduti sotto un albero ed una Mamy, metri e metri di stoffa sgargiatamente colorata che avvolgono le enormi forme. “Benvenuti nel mio paese. Volete passare? 150$” « Bonjour, siamo turisti abbiamo pagato 100 euro per un visto di entrata, portiamo soldi al paese (tra hotel, ristoranti e shopping) ». « non avete capito, dovete pagare anche noi che Vi accogliamo ». Avete capito bene: dovete pagare anche noi che vi accogliamo! « Accoglienza : era da un bel po’ che non sentivo questo termine, termine  che in Italia genera ogni tipo di discussione da anni, e comunque in Europa quando si parla di accoglienza si sottintende che chi abita accoglie, da’, e non riceve, ma è la prima volta che lo sento nominare qui, in Africa.  Ci armiamo di quella pazienza fatta dai tempi lenti: due ore seduti all’ombra del camion. Non servirà a nulla, dopo estenuanti trattative saremo costretti a pagare, quando l’aria diventerà  minacciosa e la giornata si avvicina al tramonto. Mi viene in mente che un amico mi aveva detto di non andare nella RDC, “è un paese orrendo” e non si riferiva naturalmente alla natura. Purtroppo aveva ragione. A parte l’aspetto   paesaggistico, che non metto in discussione, ho sempre pensato che la bellezza di un paese sia fatta dalle persone. E qui ho trovato il peggio mai visto. Nella  lunga strada di terra rossa e melma che percorreremo in due giorni interi (110 chilometri, con dodici ore al giorno di viaggio), incontreremo moltissimi villaggi.

Due ragazzi ci propongono di comprare il serpente appena catturato, che ancora si dimena nella disperata ricerca  della libertà.

 

 

Credo che la prima parola che viene insegnata ai bambini sia  “Argent: soldi”. Nei villaggi più remoti, raggiungibili solo da strade sterrate piene di fango, all’improvviso arrivano decine e decine di bambini, alti poche spanne che urlano : “algian, algian”. E, dietro, donne con le pance piene che fanno segno con le dita….”soldi soldi”. E, sotto le tettoie, uomini stravaccati nel riposo, canottiere con muscoletti ben torniti, si alzano all’improvviso e con uno sguardo rabbioso ti fulminano: :”ehi bianco dammi i soldi. Hai capito? I soldi! E dammi il cellulare, il cellulare”. Qualcuno li giustificherà dicendo che tutti gli anni di dittatura hanno massacrato lo strato sociale, e che da una radice marcia non si ottiene un buon frutto, ma qui veramente lo sguardo della gente è rancoroso. 

Ho sentito un forte razzismo nei confronti dei bianchi, considerati solo un’oliva da spremere. Gli sguardi pieni di odio e rancore, quasi come se nascere bianchi fosse una colpa. E, naturalmente, minacce furiose alla vista di un cellulare o qualsiasi macchina fotografica. “Che cosa filmi, cancella e dammi in soldi!”. Non provo più alcun sentimento, ma davvero gran paura, soprattutto quando vedo uscire orde di bambini da case di fango, 10-15, mezzi nudi, sempre scalzi, tutti a chiedere “soldi, soldi”. Sono tantissimi, dopo un po’ diventa un incubo, come se fosse un brutto sogno….magari fosse un brutto sogno! Si, sono davvero spaventata e, mi dispiace dirlo ma qui non vedo assolutamente futuro, solo un verme che si sta moltiplicando a velocità supersonica e sta divorando quello che c’è intorno….,ma cosa succederà quando non ci sarà più nulla?

 La Repubblica Democratica del Congo è il terzo Paese africano per popolazione ed è ricchissimo di legno, rame, cobalto, diamanti, oro, zinco, uranio, stagno, argento, carbone, manganese, tugsteno, cadmio, petrolio. Ma purtroppo oggi rappresenta il malgoverno per eccellenza. Pensate che è il più grande produttore al mondo di cobalto, che è un componente fondamentale delle batterie ricaricabili delle automobili e dei telefoni cellulari, quindi oggi ricercatissimo. Ma solo una piccola élite del paese beneficia degli ingenti proventi, spartiti ora con una Cina che ha messo le sue intricate e avvelenate radici qui. È paradossale vedere che uno dei Paesi più ricchi di materie prime al mondo, con una ricchezza immensa, abbia  una popolazione allo stremo. La RDC  è quel paese che di democratico ha ben poco. Le vicissitudini politiche del paese, tra la lotta per l’indipendenza ed il terribile regime di Mobuto Sese Seko, hanno lasciato un’impronta pesante sulla cultura locale. Il motto di Mobuto era :  “Nella nostra tradizione africana, non ci sono mai due capi. C’è, a volte, l’erede naturale del capo, ma qualcuno mi può nominare un solo villaggio con due capi? Ecco perché noi congolesi, nel desiderio di conformarci alle tradizioni del nostro continente, abbiamo deciso di concentrare tutte le energie dei cittadini di questo paese sotto la bandiera d’un solo partito nazionale.» Il dittatore, deceduto nel 1997, ha instaurato un regime autoritario, accumulando enormi ricchezze personali e cercato di ripulire il paese da tutte le influenze coloniali, mentre riceveva un forte supporto statunitense. Sotto Mobutu nacque il mono-partitismo nel paese, con tutto il potere concentrato nelle sue mani, e lui divenne famoso per la corruzione, il nepotismo e per essere stato tra i tre uomini al mondo che hanno incamerato più denaro dello Stato per uso strettamente privato: si parla di sicuro di più di cinque miliardi di dollari, (parliamo degli anni 1984/5), ma alcune stime riportano anche la cifra di quindici miliardi. La repressione nei confronti del dissenso fa di lui uno dei più agguerriti dittatori africani. La popolazione viveva in povertà, mentre lui cumulava denaro presso le Swiss banks.  Ma quello che mi sconvolge è leggere che malgrado fosse un dittatore accusato di violazioni dei diritti umani e di grande corruzione, negli anni settanta aveva un grande credito internazionale: le potenze occidentali (interessate verso le ingenti risorse minerarie quali l’oro, i diamanti e l’uranio di quello che allora si chiamava Zaire), lo corteggiavano e su vari siti si vedono incredibili foto di uno strano signore con cappello leopardato, ospitato alla Casa Bianca da diversi capi di Stato, in Belgio dal Re Baldovino e a Londra dalla Regina Elisabetta II. Detto questo, capisco che un popolo che ha subito angherie per decenni e decenni abbia una forte rabbia dentro, però non giustifico comunque un atteggiamento così nei confronti di chi comunque a modo suo ti sta aiutando. Il turista porta soldi e può diventare il filtro con il mondo esterno. Qui la gente chiede e basta. È vero,  tre giorni sono pochi per giudicare un paese, ma vi assicuro che attraversare uno stato via terra, significa un contatto diretto per almeno 12 ore al giorno con la gente locale e, vi confermo, sono state 36 ore di richieste, insulti e ancora , richieste. E, poiché parliamo di un paese dove oltre il 50% della popolazione è cattolica, (con il Cristianesimo che ha una lunga tradizione) ancora  una volta mi chiedo: “Cosa ha fatto la chiesa qui? “Dio è con te, Gesù ti aiuta, Dio è il tuo Signore!” Scritte ovunque! . Perfetto: bell’opera d’arte ha fatto!! E ancora : « I figli sono un regalo di Dio ». Certamente, peccato che dopo non sia lui ad occuparsene. 

Nel mio viaggio attraverso il paese sono passata da Boma, una tipica città africana, sporca, polverosa, e Matadi, sulle rive del fiume Congo, decisamente più interessante, con una posizione arroccata che la rende a suo modo particolare, ed un grande porto. 

 

 

Prima di lasciare questo paese che mi ha davvero lasciato l’amaro in bocca, vi lascio un paio di foto del cibo locale, semplice ma gustoso. Il riso al pomodoro, onnipresente nell’Africa Occidentale, si sposa perfettamente con un pesce fritto. E per i vegetariani (non totalmente perché non conosco il contenuto del famigerato dado Maggi, che appare anche qui ovunque), riso saltato con cavolo e fagioli. Ora capite perché non posso dimagrire in questo viaggio.

Con l’amarezza dentro e un grande senso di angoscia lascio questo paese. Domani parto per l’Angola, altro paese che mi incuriosisce molto. A presto

 

 

3 risposte

  1. Che bello rivedere le spiagge del Gabon! Sono uno dei miei primi ricordi di infanzia. Noi abbiamo vissuto a Libreville alla fine degli anni 60. La strada che avete percorso dal Camerun, mio padre l’ha fatta in Jeep più di una volta. Mi ricordo il verde profondo della vegetazione e le spaggie piene di tronchi. All’epoca, tagliavano gl’aberi e poi incatenavano i tronchi per mandarli giù per il fiume fino alla costa. Ogni tanto ne scappava uno e poi finiva sulla spiaggia.

    Ti ringrazio delle foto e del tuo articolo che mi hanno portato tanti ricordi.

    1. Ciao Alicia, chissà che meraviglia il paese in quel periodo! Mi fa piacere averti riportata ai ricordi d’infanzia.

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