Da Skardu si può riprendere la Karakorum Highway per andare verso la Hunza Valley. Ogni tanto si attraversa un villaggio dove si vedono le botteghe aperte lungo la strada e momenti di vita quotidiana.
Tra valli verdi e valli rocciose, ci sono alcune soste interessanti. La prima è una sosta fotografica, semplicemente per immortalare un simbolo della storia. Qui, di fronte alla nuova strada, si vede un tratto di pista: la leggendaria via della seta, quella fitta rete di rotte commerciali che collegava l’Asia Orientale con l’Europa ed il Medio Oriente. I mercanti di sete, spezie e prodotti preziosi, attraversavano e si riposavano nella Hunza Valley. Ed eccole, di conseguenza, le influenze culturali.
L’altra sosta è nella valle di Nagar, a Gulmet. Lungo la strada, ci sono un paio di ristoranti dove gustare un pranzo locale, con vista sul monte Rakaposhi (7788 metri). Pur non essendo tra i più alti, l’ascesa di questo monte è tra le più difficili per gli alpinisti, a causa delle sue pareti molto ripide e delle condizioni climatiche estreme. Per chi vuole provare un po’ di adrenalina, c’è anche una zipline, eventualmente da fare in bicicletta.
La Hunza Valley si trova nella regione del Gilgit-Baltistan ed è famosa per la sua bellezza naturale ed i paesaggi mozzafiato. E’ sicuramente una delle mete più turistiche del Pakistan. La cultura di Hunza e’ influenzata dal Buddismo e dall’Islam Ismailita e gli abitanti parlano il burushaski e il wakhi.
Karimabad è il capoluogo di Hunza: abbarbicato a 2500 metri su pendii, e’ il punto di partenza per partire alla scoperta di questo interessante angolo di Pakistan. La piccola e vivace cittadina, è una base popolare per i trekkers e gli alpinisti che vogliono esplorare le vicine montagne del Karakorum.
Qui si trovano due importanti edifici storici: il Baltit Fort ed l’Altit Fort: entrambi servivano sia come residenze reali, che come strutture difensive contro le invasioni. Il Forte di Baltit risale a circa 700 anni fa: restaurato, ora è diventato un museo.
Il forte di Altit è ancora più antico ed offre una vista panoramica sulla valle. Costruito circa 900 anni fa, fu originariamente la sede dei Mir di Hunza (i sovrani locali). L’architettura combina materiali locali come pietra e legno. Il restauro, da parte dell’ Aga Khan Trust for Culture, ha incluso anche un museo all’interno del forte.
La vista dal forte sulla bella vallata
Nella visita guidata per i turisti, si attraversano anche i Giardini Reali.
Dal forte, si ha anche una bella vista sul villaggio adiacente, fatto di case di pietra, legno e fango, che riflettono l’architettura tradizionale.
Karimabad si anima nel tardo pomeriggio, quando i negozi sono tutti aperti ed espongono il bell’artigianato locale.
La città è nota anche per i suoi frutteti: albicocche , mele, ciliegie e noci. La torta di noci (Hunza Walnut cake) è ottima, cosi come il frullato di albicocche.
A proposito di specialità locali, non posso non parlarvi della « Hunza Water », molto amata dai maschi locali. Si tratta di una bevanda homemade molto alcoolica. Naturalmente è ufficialmente proibita ( non dimenticate che siamo in un paese mussulmano e secondo la legge islamica, la Sharia, l’alcol è considerato impuro), ma, purtroppo, in questo caso, i pakistani non hanno problemi a ledere i principi della dottrina islamica.
Scendendo a valle, c’è il bellissimo insediamento Ganish, considerato uno dei più vecchi villaggi lungo l’antica via della Seta. Qui vivono circa 20 famiglie, tra gli edifici storici, moschee note per le intricate decorazioni ed incisioni, ed un serbatoio tradizionale. Ganish è patrimonio Unesco dal 2002.
Riprendo la strada verso la Upper Hunza e ritornano i paesaggi che alternano montagne rocciose a verdi vallate .
E si arriva al CKNP, Central Karakorum National Park, una delle aree protette più importanti della regione, confinante con Cina, Afghanistan e India. Il parco comprende una parte della catena montuosa Hindu Kush Karakorum Himalaya. Il comitato Italiano Ev-K2-CNR partecipa al progetto “Karakorum trust” che dovrebbe tutelare l’ambiente e migliorare la qualità della vita delle popolazioni locali.
Proseguendo, si vede il ghiacciaio Hoper, che, purtroppo, come molti altri, oggi, si sta ritirando. Da qui, partono molti trekking.
Sulla strada si trova una roccia con incisioni rupestri che parla di passato, quando i monaci cinesi viaggiavano a piedi lungo la Via della Seta per studiare il buddismo presso l’antica università di Taxila.
Ancora bei panorami
La strada passa dal fotogenico lago turchese di Attabad, che ha però una storia tragica. Nel gennaio 2010 una frana ha sepolto ed inondato 19 km della Karakorum Highway, uccidendo venti persone e bloccando il flusso del fiume Hunza per molti mesi, portando alla nascita di un lago. Per 5 anni, la popolazione di 25000 abitanti di Hupper Hunza e’ rimasta isolata (l’unico mezzo di trasporto erano le barche), fino a quando si sono aperti una serie di tunnel sulla KKH.
Oggi il lago è meta turistica .
poco più avanti il mio hotel, con camera con vista
Risalendo la Karakorum Highway, si entra in un habitat di specie protette: questo è il regno dello stambecco dell’ Himalaya e del leopardo delle nevi .
La strada panoramica attraversa Passu (in lontananza si vede il ghiacciaio)
e continua, con panorami immensi, arrampicandosi sempre di più, fino ad un luogo iconico: il passo Khunjerab,, situato ad un’altitudine di 4693 metri, e’ il valico di frontiera internazionale asfaltato più alto del mondo.
Questo segna la fine della Karakorum Highway, collegando la regione pakistana del Gilgit Baltistan con la regione cinese dello Xinjiang. Tra cime innevate e praterie, la foto di rito del confine, e dello sportello automatico bancario più alto del mondo
Ritornando ad altitudini più basse (ma siamo comunque sempre oltre i 2000 metri), è interessante girovagare tra i paesi, anche solo per cercare di capire come vive la gente dei centri rurali, che, ripeto è comunque superiore a quella che vive nelle città. Le vecchie case di pietra e fango vengono convertite in una sorta di stalla, dove racchiudere gli animali (mucche e ovini); accanto, sorge la nuova abitazione della famiglia. Le case hanno un tetto completamente piatto: questo perché sopra si possono stendere i frutti a seccare (per es. le albicocche, gran bel frutto locale, che verrà poi trasformato in marmellata, frutta secca, e ottimo olio).
Questa è una casa museo aperta ai turisti
Ancora scorci panorami tra queste valli dall’infinito sapore antico.
Ed i vecchi camion dipinti, vere opere d’arte
E’ ora di lasciare la Hunza Valley e andare a curiosare nella Gupis Valley, un’area situata nel distretto di Ghizer con i suoi laghi alpini e le verdi vallate. La strada è in costruzione, quindi un lento saltellare su buche e sassi in una terra che passa dal secco all’umido in poco tempo. Le auto sono poche, ma la guida sempre senza regole. Ed anche qui, si ripete il rituale di bei paesaggi, alternati da villaggi, con il mercato che mostra trionfante frutta e verdura a chilometro zero.
La carne (a livello igiene) lascia a desiderare!
Attenti però con le fotografie, perché qui siete nel regno dei sunniti, i più tradizionalisti dell’Islam, e quindi non amano essere ripresi. I grandi villaggi o piccole cittadine, sono comunque tutte uguali, grigie, polverose e sporche: L’unico bel colore è dato dai frutti della terra.
Saranno giornate lunghe, in macchina, con un unico leit-motif: la strada che sale e scende, per poi risalire di nuovo. Ampie vallate con villaggi immersi in un verde oliva che si infrange su un fiume smeraldo: ambientazione poetica, ma che in realtà nasconde una triste verità. Qui i villaggi sono molto poveri, anche se la terra da’ frutti ed ognuno possiede del bestiame. L’inverno è molto rigido, non c’è una vera strada, ed i paesi restano isolati per mesi. Quindi occorre fare scorte prima che arrivi la neve. Tra l’altro le case hanno come unico riscaldamento la stufetta a legna.
La strada verso Mastuj continua sconnessa, fino al Shandur Pass a 3700 metri: qui si trova il campo da polo più alto del mondo.
Mastuj è solo la sosta di una notte, in un bed and breakfast dall’ottima cucina (un “pollo alla cacciatora” che mi ha ricordato i profumi della nonna), ed una bella vista.
Da qui si riprende la strada per Kalash.
I contadini sono al lavoro
Qui si fanno mattoni
Il territorio del Chitral, prevalentemente Sunnita, è molto tradizionalista. Anche la mia guida si toglierà i moderni jeans e la polo, per indossare l’abito tradizionale. Nei brutti villaggi si incontrano principalmente solo uomini;
e’ raro vedere donne in giro, a parte qualche brutta sorpresa. Nel piccolo villaggio di Koghzi vedrò decine e decine (un centinaio?) di ragazze che camminano per strada, tutte rigorosamente con il burqa. Il mio autista mi dice di non fotografare, perché è pericoloso. Riuscirò solo a strappare questo brutto scatto, per farvi capire quali sono le condizioni delle ragazze qui: sono giovani appena uscite dalla scuola coranica, l’unica scuola che possono frequentare.
Ma più avanti vi potrò documentare meglio, anche se sarà solo una minima parte, quello che ho visto, sostanzialmente solo donne con il burqa.
Prima, però, vi mostro un luogo completamente diverso. In un paese tristemente conosciuto per l’estremismo religioso, diciamo un vero inferno per le donne, esiste un piccolo angolo di paradiso. Difficile da raggiungere, ma, quando ci arriverete, riuscirete persino a dimenticare, per un attimo, le brutture viste, e, credetemi ne ho viste molte, che, purtroppo non ho potuto documentare, perché è proibito fotografare.
Nel nord del Pakistan, in un angolo vicino all’Afghanistan, nella regione di Chitral, c’è una sorta di strada, in molti tratti poco più che una mulattiera, che si inerpica dalla valle, verso la montagna. Qui, nelle valli di Bumburet, Rumbur e Birir, vivono circa 4000 Kalash, una comunità minoritaria che mantiene una cultura e tradizioni uniche. La loro cultura convive, anche se non certo facilmente, con gli integralisti islamici che vivono nei villaggi intorno e, purtroppo, crescono velocemente di numero.
I Kalash praticano una forma di induismo antico, una religione animista e credono in diverse divinità e spiriti della natura. La loro mitologia è ricca di storie su eroi e divinità, che vengono tramandate oralmente di generazione in generazione. La loro religione è complessa, arricchita da pratiche sciamane, ma molto rispettosa; pensate che il funerale si celebra con grandi feste, danze, canti e buon cibo, all’insegna dell’allegria: d’altra parte il defunto sta per raggiungere un vero eden di serenità e felicità.
Nella vita quotidiana, le donne Kalash indossano, con grande orgoglio, abiti colorati e distintivi, spesso decorati con ricami e perline, e portano dei copricapi, rigorosamente lavorati a mano, detti « shushut ». Gli uomini indossano abiti più semplici ma tradizionali.
La loro economia è basata sulla coltivazione di grano ed orzo, e l’allevamento di bestiame come capre e pecore.
Festeggiano alcuni avvenimenti con un festival, come il Chilam Joshi (primavera), Uchau (raccolto) e il Chaumos (inverno): canti, danze ed offerte rituali, sono momenti di grande celebrazione.
Questa è l’arena dei festival
Le case dei Kalash sono costruite in legno e pietra, spesso su pendii molto ripidi, e sono progettate per resistere alle dure condizioni climatiche dei rigidi inverni, lasciando un importante spazio per il bestiame e lo stoccaggio del cibo.
A proposito di cibo, cose semplici, ma deliziose, come il profumato pane fatto in casa, normale o con un ripieno, piccantino, di fagioli. E poi riso e fagioli a cottura lenta.
Recentemente, il turismo è diventato una fonte di reddito significativa. I turisti sono attratti dalla bellezza delle valli, ma anche incuriositi di conoscere questa « perla rara » del Pakistan. I Kalash, oltre ad essere un popolo dalla cultura estremamente interessante, sono decisamente socievoli, sorridenti, « very friendly » e felici di condividere con uno straniero il loro tempo, che diventerà un momento indimenticabile. I due giorni di immersione totale (ho avuto il privilegio di vivere con una famiglia Kalash), si sono rivelati il momento più bello dei miei ventitre giorni trascorsi in Pakistan.
Rabina è una delle figlie del proprietario di una semplice Guesthouse. Siamo diventate amiche e lei ha trascorso le giornate con me. Abbiamo visitato le sue amiche, che vivono nei villaggi attigui.
Questa è la bella casa di un’amica
E qui vive un’altra ragazza che si occupa dell’allevamento di trote.
In mezzo al villaggio, tra negozi di artigianato e sarti, sorge una casa la cui entrata è proibita ai più.
Qui, solo le donne durante il ciclo mestruale e le partorienti, possono oltrepassare questa porta. Nella cultura Kalash, esiste un forte concetto di puro ed impuro. In questo caso, durante il ciclo, le donne sono impure e quindi devono isolarsi dalla comunità. Per questo, vengono accolte in questa casa comune: anche qui comunque non è consentito il contatto fisico diretto.
Un aspetto fondamentale della società Kalash (non dimentichiamo che sono 4000 persone in una comunità musulmana di 250 milioni), è che è relativamente egalitaria. La cooperazione comunitaria è la parola chiave, con decisioni prese spesso collettivamente.
Pur essendoci ruoli di genere, le donne Kalash partecipano attivamente alla vita sociale ed economica della comunità.
I Kalash affrontano forti pressioni da parte della comunità mussulmana che vorrebbe integrarli completamente e combattono una dura lotta per preservare la loro cultura vibrante e le loro tradizioni.
I Kalash sono uno dei popoli più gentili ed accoglienti che abbia mai incontrato nei miei viaggi nel mondo e sono veramente una perla rarissima in quel grande paese con mille storture, quale è il Pakistan.
Lascio questa splendida comunità con un po’ di tristezza, augurando loro di poter continuare la loro vita e la loro cultura , e sperando che la tristissima comunità mussulmana che li circonda e che, purtroppo, cresce a dismisura, li lasci vivere tranquilli, e riprendo la strada polverosa che scende nella valle
Riparto verso il sud, su quella strada dove, ad un certo punto, ad uno dei tantissimi posti di blocco sulla strada, mi verrà assegnata la scorta.
la Valle di Swat ha una storia di conflitti e problemi di sicurezza, soprattutto durante l’ insurrezione talebana tra il 2007 ed il 2009. Oggi la sicurezza e’ migliorata, ma gruppi di estremisti sono ancora mine vaganti. E persistono rischi di rapimenti da parte dei talebani. Ecco perché una straniera diventa un possibile target e deve essere protetta.
La valle è bella
La valle verde attraversa villaggi con mercati pieni di uomini che fanno la spesa. Già, perché qui la donna, spesso, non può neanche uscire di casa.
Vedrò comunque tante donne, per strada, tutte uguali, sarcofagi che si muovono lenti, pacchi cellofanati sotto un caldo afoso che toglie il respiro. Metri di stoffa del colore della terra che si spostano goffamente: solo la mano allungata per stringere od abbracciare un bimbo lascia intravedere una vita: ed i piedi, altro segnale che, sotto quel lenzuolo ingombrante, c’è una giovane vita, che respira, che forse pensa, che forse …. Vorrei tanto saperlo! Qui, l’ennesima prova che sono i giovani i più estremisti e che la mia guida conferma: “i giovani ragazzi oramai conoscono la vita fuori dal Pakistan, le famiglie che si sfasciano, la totale mancanza di moralità, e non vogliono che questo succeda nel loro paese. Rigide regole e “sani” principi … le donne devono rispettare il loro ruolo, cosa c’è di strano?”.
Sono rimasta alcuni giorni in questa orrenda provincia, a Mingora dove, francamente, ho odiato tutto: dagli sguardi degli uomini che, sebbene non dicessero nulla, si capiva che l’unica domanda era perché’ ero lì, io, donna non accompagnata. Ho dovuto dire che sono moglie, madre e nonna….. perché “se non hai figli, non sei una donna, e non dovresti uscire di casa, ma vivere la tua inutile esistenza lontano da qualsiasi palcoscenico!”.
Mingora e’ la città dove è nata Malala (premio nobel per la pace nel 2014) e dove i talebani hanno cercato di ucciderla. Non so com’era prima la città, ma oggi è comunque un luogo dove oltre il 90% delle donne ha il burqa, i mercati sono pieni di uomini e tutto sembra un film in bianco e nero, di due secoli fa. Tristezza infinita.
Nei dintorni di Mingora ci sono i resti della civiltà Gandhara, un’antica cultura e regno che fiorì dal I millennio a.c. fino al V secolo d.c., nota per il sincretismo culturale e per essere un importante centro del Buddhismo. La cultura e l’arte di Gandhara riflettevano anche influenze religiose e filosofiche greche e persiane.
In realtà tutto è abbandonato, nessuno si interessa.
Restano il Jahanabad Buddha, una scultura buddhista scavata nella roccia
e Shingardar Stupa: uno stupa buddista che è il simbolo del passato dei Gandhara nella Swat Valley .
Abbarbicato sulle colline, si trova anche questa vecchia città.
Ed è ora di lasciare il Pakistan, dopo ventitré giorni. Uno dei paesi con la più grande contraddizione, tra paesaggi stupendi ed una natura generosa, ed uno stile di vita che mi ha lasciata completamente intontita. Per ora parto con l’idea di non tornarci più, ma mi riservo sempre la possibilità di cambiare opinione, un giorno, se la situazione cambia.
il mio ultimo saluto a loro, che avrei tanto voluto conoscere e per le quali vedo un futuro sempre più in bianco e nero, senza la minima possibilità che migliori, perché questo paese è completamente incatenato in una prigione mentale.
Addio Pakistan
2 risposte
A very good blog, but I have no love for Islam or Muslims
I agree, dear Derrick! I also have no love at all for Muslims and Islam….