Burundi

“Benvenuti nel paese del latte e del miele”: l’addetto ai visti nel consolato del Burundi della cittadina di Kigoma in Tanzania, ci consegna i passaporti. Dopo due settimane di attesa (la domanda era stata fatta al consolato di Lusaka, che aveva detto di aver bisogno di tempo per analizzare il dossier con la nostra richiesta), è una grande vittoria per me, non solo perché è il mio centoquarantesimo paese visitato, ma perché è uno di quei posti dal passato  contorto e sofferto.

Il Burundi è il luogo dell’eterna primavera, quella nazione che merita un po’ di pace e serenità. Tutti conoscono la drammatica storia del paese, che è stato lacerato da guerre civili per decenni. Un piccolo stato (meno di 30.000 chilometri quadrati, tanto per dire poco più grande della Sicilia), che ha conosciuto, prima la colonizzazione tedesca, poi quella belga, fino ad ottenere l’indipendenza  nel 1962. Le lotte intestine tra gli Hutu ed i Tutsi hanno provocato una strage che ha sconvolto il mondo intero per decenni. Le due etnie principali, nel periodo pre coloniale avevano anche in comune la stessa religione, oltre alla stessa lingua. Gli Hutu (o Bantu) sono l’85% della popolazione, i Tutsi (o Watussi) poco meno del 15%, ed i Pigmei (Batwa) ridotti ormai all’1%, anche se questi ultimi sono stati in realtà i primi abitanti. I Tutsi sono gli ultimi arrivati, emigrati dal Corno d’Africa mezzo millennio fa e diventati la « minoranza élitaria ». Dopo la partenza del Belgio, ultimi colonizzatori, nel 1962, e la dichiarazione come Repubblica Presidenziale, i risentimenti tra le due etnie sono esplosi. I Tutsi al potere cercano di sedare un timore fondato di colpo di stato con una strage: 200.000 Hutu massacrati e 150.000 in fuga agli inizi degli anni 1970. Anni travagliati, con accordi più o meno rispettati, con l’intento di trovare una transizione  democratica,  fino all’elezione, del 1993: il popolo libero sceglie un candidato Hutu, Ndadaye Melchior. Ma la pace dura poche settimane. Il Presidente sarà barbaramente assassinato da quella minoranza Tutsi recidiva. È il terribile inizio di una guerra civile che produrrà cinquecentomila vittime, e milioni di profughi . Anche il territorio subirà modifiche, dilaniato da incendi che distruggeranno la foresta equatoriale (e la fauna), trasformando il paesaggio in un inospitale landa marziana. Purtroppo la tragedia continua negli anni 1990, anche nella vicina Ruanda, con il più rapido e peggior genocidio della storia (i famosi 100 giorni): ottocentomila Tutsi uccisi. La guerra civile va avanti anche nel nuovo secolo, e finirà solo nel 2005, con l’elezione di un presidente, secondo l’accordo di Arusha, in Tanzania, del 1993, con la presenza di Nelson Mandela. Ancora oggi è difficile pensare che non ci siano rancori tra discendenti che hanno subito lo sterminio di gran parte della famiglia.

Un paesaggio mozzafiato, fatto di ridenti colline e altipiani ricoperti di eucalipti, bananeti e piantagioni di caffè e di the. Natura rigogliosa e grande varietà biologica, e poi, splendide risaie che sembrano un quadro d’Oriente. E quell’immenso specchio d’acqua, il lago Tanganika, il secondo più profondo del mondo, meravigliosamente incorniciato da montagne di un verde intenso. Si sale, fino a 2300 metri di altitudine, tra una foresta primaria di bellezza assoluta, e si scende, per poi risalire: un susseguirsi di morbidi panettoni  da gustare guidando lentamente, per godere appieno del panorama. Ed i minuscoli villaggi, come canditi, sparsi sulla soffice e fragrante terra. Sembrerebbe una meravigliosa cartolina, quella che si spedisce agli amici per creare una sana invidia. In realtà, dietro tanta bellezza, si cela uno dei paesi più poveri del mondo. Ho letto che l’ottanta per cento della popolazione vive con meno di un dollaro e mezzo al giorno.

 

La vita qui è molto dura. La maggior parte della popolazione sono agricoltori, che si alzano all’alba e percorrono chilometri e chilometri su impervie strade in salita, per raggiungere il piccolo appezzamento di terreno o il mercato dove approvvigionarsi o vendere quel poco che la terra produce, spaccandosi la schiena. Arachidi, patate, riso, palma da olio, canna da zucchero, sorgo, sono i prodotti principali dell’attività agricola.


 

 

Ne ho incrociati tantissimi in una settimana, su quei pendii scoscesi, sudati, con i muscoli tesi ed i denti stretti. Li ho visti mettere tutta la loro energia, spingendo  biciclette arrugginite, cariche all’inverosimile, in un lavoro dove la forza e l’equilibrio devono andare di pari passo. Li ho visti soffrire, concentrandosi senza la minima distrazione, lungo quella strada ripida che non permette sosta, macinando chilometri e chilometri, dall’alba al tramonto. Con vestiti sdruciti e scarpe bucate, ma quella dignità che è solo dei cuori nobili, nella dura lotta contro una sorte troppo spesso avversa. Ho scattato tante foto dal camion proprio perché colpita da questa vita di duri sacrifici e vi lascio guardare questa carrellata di immagini di vita quotidiana

 



 

L’allevamento di bovini ed ovini è diffuso, anche se, purtroppo, la siccità colpisce spesso il territorio con la conseguente moria del bestiame.

 

 

 

Arriviamo in un piccolo villaggio, famoso in tutto il mondo perché qui ci sono le sorgenti del Nilo. Chi potrebbe mai immaginare che quel filo che scorre da un anonimo rubinetto, da’ origine ad uno dei più importanti fiumi del mondo, colui che rende fertile la terra di molti paesi e sfama tante popolazioni?
A duemila e cento metri di altitudine  l’aria è pulita. In realtà il lungo fiume africano (6.852 km), che attraversa ben 8 stati, nasce convenzionalmente a Jinja in Uganda, ma le sue fonti si spingono fino al Ruanda e qui, in Burundi,  a 45 km a est del lago Tanganika, sul versante nord del monte Kikizi, dove sono state scoperte dal tedesco Burkhart Waldecker nel 1937. L’anno successivo è stata eretta una piccola piramide, per ricordare il punto esatto dove nasce il Re Nilo. La targa è in latino e dice più o meno : “Piramide al capo più meridionale del Nilo, come segno dell’inizio del fiume delle Piramidi – Eretta nel 1938, sotto la protezione del proconsole Jungers e con l’aiuto dei Padri Colle e Gerardine e di Monteyne, dal dr. Burkhart Waldecker in memoria di tutti coloro che hanno cercato l’origine del Nilo”.

 

La strada corre lenta, tra l’asfalto sdrucito incorniciato da risaie e piantagioni di te di un verde brillante. Si sale fino a 2300 metri. Siamo costretti a molte fermate per controlli. Ogni tanto un poliziotto, dopo il controllo dei documenti, dice che ha sete: ad uno rifiliamo l’ultima bottiglia di aranciata. Ad un altro diamo il corrispondente di mezzo dollaro, e ci lascia partire, con un grazie a trentadue denti. Corruzione? Siamo in Africa.


L’ex capitale Bujumbura è brutta, con il centro caotico e malconcio.


 

Ma a pochi chilometri c’è il lungomare, pardon, lungolago, con Resorts più o meno datati, proprio di fronte a quel lago Tanganika che è il luogo di vacanza anche dei burundesi.  Il lago è molto pescoso e la pesca artigianale praticata dagli abitanti dei villaggi con piroghe fatte di tronchi d’albero, porta dalle sardine argentate ai grandi sangala (persico del Nilo).

 

Il COVID, e quindi la mancanza di turisti, ha avuto un impatto terribile anche qui. Molti Resorts hanno chiuso i battenti, ed i pochi sopravvissuti non hanno avuto soldi per fare la manutenzione. Scheletri di strutture, che dovrebbero accogliere i turisti, sono rimasti lì’, mentre le onde del mare non si sono mai fermate, così come la vegetazione, che ha continuato a crescere rigogliosa. Il Karera Beach Hotel è formato da pochi bungalow. La spiaggia di sabbia dorata è molto bella e piantare la tenda con il rumore delle onde che si infrangono è un’esperienza assolutamente incredibile.

 

 

 

Il silenzio è rotto solo dai flutti del lago e qualche ruggito di sottofondo. Già, perché al mattino, proprio davanti a noi, due paciosi ippopotami brontolano nell’acqua, marcando il territorio. Il proprietario dice che non sono pericolosi, l’importante è non nuotare vicino a loro,  per non disturbare la loro privacy.

Poco oltre, l’Hotel Club du Lac Tanganika è un bel 5 stelle, sempre sulla spiaggia. Bella la piscina olimpionica, e le camere. Il ristorante, vista lago, è molto carino, anche se sinceramente la cucina, spacciata non solo per internazionale, ma molto italiana, sarà decisamente deludente. È colpa mia, che, quando sono all’estero da un paio di mesi, non resisto alla vista di una pizza. E quindi penso che un hotel cinque stelle possa accontentarmi. La Napoletana è un sottilissimo disco di pasta gommosa, con pezzettoni di aglio e salsa di pomodoro tipo ketchup, decisamente bocciato. Ma anche la pasta alla bolognese va forse incontro ad un gusto più locale che italiano, con la cottura oltre di parecchi minuti ed un ragù anemico.

La spiaggia in compenso è bellissima, una striscia dorata dove rilassarsi ed abbronzarsi. Purtroppo ho avuto due giorni nuvolosi. Qui un cartello chiarissimo invita alla non balneazione, per non incappare nel regno « degli ippopotami, gli animali più pericolosi dell’Africa ».

 

 


 

 

A pochi chilometri dall’Hotel (una quindicina dal centro città), c’è un  parco nazionale, il Rusizi National Park. La visita si fa in piroghe di legno. Un ecosistema di pianura con lagune e palmeti, che hanno subito negli ultimi anni una drastica riduzione di fauna, soprattutto per l’espansione della capitale.  Questo rimane comunque il regno di ippopotami e coccodrilli, e di tantissime specie di uccelli. Siamo al confine con la Repubblica Democratica del Congo.

 

 

Si riparte per il centro del Burundi, verso Gitega, la nuova capitale da pochi anni. La strada è panoramica, tra grandi piantagioni di the. I villaggi sono poveri, poverissimi e pieni di bambini.

 




 


 

 

Le donne mettono il bucato ad asciugare davanti a casa

 

Il Museo Nazionale conserva il patrimonio culturale del Burundi. Oggetti religiosi o appartenuti ai vari monarchi raccontano il passato di questa terra.

 


Il ritmo incessante dei tamburi rituali suona nella vallata. Le delicate braccia dei suonatori percuotono le pelli con grande maestria, mentre il corpo si fa lieve, volteggiando nell’aria come una farfalla. Mostrano con orgoglio i colori della bandiera, nei loro vestiti, il bianco, il rosso ed il verde. Una danza piena di storia, oltre che di ritmo, giustamente dichiarata Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. I Tamburi Reali di Gishora  si trovano a pochi chilometri dalla nuova capitale, Gitega, che è diventata primadonna recentemente, il 24 dicembre 2018. Fino ad allora la capitale era Bujumbura. Le origini dei tamburi sono lontane, e risalgono all’inizio della Monarchia in Burundi. I suonatori dei tamburi sono gli ultimi custodi di quel rito che incantava il re e la sua corte, ammaliati dal ritmo delle danze e dalle eleganti acrobazie.

tra il XVI ed XVII secolo Gitega qui c’era il grande regno del Burundi, fondato da Ntare Rushatsi. Ogni tamburo (detto ingoma) aveva una funzione specifica e poteva essere suonato solo in luoghi e circostanze precise (per es. la stagione della semina, oppure in onore dell’uscita del re, ecc.)

 

 

 

Oggi, l’arte di suonare il tamburo mantiene quella sacralità tanto da essere un onore quando essa viene tramandata di padre in figlio. I tamburi sacri continuano ad essere salvaguardati da un anziano incaricato di sorvegliarli giorno e notte nell’apposita capanna che è stata costruita per custodirli.

Con l’arrivo della Repubblica, i tamburi si sono democratizzati e sono diventati non più elitari, quindi solo legati alla corte reale, ma si sono aperti al popolo, che li ha accolti con l’onore che si dà a quegli artisti di fama  internazionale. Quando un « tamburatore reale » inizia la sua performance,  è il respiro dell’Africa, un ritmo mistico, una commistione tra spirito e natura che ti trascina. 

 

 




 


 

 

Chiudo questo viaggio incredibile con il vibrare dei tamburi, la colonna sonora di un paese che merita la riscossa. Bello, con quella natura incontaminata prorompente, che ti avvolge come una coperta di Linus, ma con quel macigno costante della povertà che sembra purtroppo senza fine.

 

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E come sempre la mia versione teatrale con la carrellata di sorrisi e sguardi intensi incontrati nel mio viaggio

 


 

A breve vi porterò in Tanzania, nella parte occidentale, alla ricerca di coloro il cui DNA corrisponde a quello dell’uomo in una percentuale di circa 98%, i meravigliosi scimpanzé, nel loro straordinario habitat naturale, sulle orme di Jane Goodall.

2 risposte

    1. Hi Derrick, thank you. you are right, but I’m travelling “light”, only with my I-phone. Since I travel a lot it’s easier and I still like the photos. Hope to see you somewhere.

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