Sierra Leone

La strada da Conakry al confine con la Sierra Leone è un vero incubo, buche profonde costringono tutti i mezzi ad effettuare le stesse deviazioni per cui a volte si trovano nel medesimo angolo della strada due vetture frontali. Al confine, ore di attesa. L’autista lotta duramente contro la continua richiesta di denaro, prima da parte di un paio di ragazzi che si propongono come intermediari con la polizia di frontiera, poi con i poliziotti stessi, che, ogni pochi metri bloccano le auto: una semplice corda viene tirata in mezzo alla strada e dobbiamo fermarci. Sembra davvero una scena da film tragicomico. Dopo 3 ore, si entra in Sierra Leone. I checks  sono ancora assillanti, cntrollo documenti e passaporti. Incredibile la corruzione così sfacciata. Siamo partiti alle 5 da Conakry e per fare poco più di 300 km, ci vorranno ben 13 ore per arrivare a Freetown . Fortunatamente la strada dopo il confine verso Freetown è normale. 

La Sierra Leone è un paese tristemente  conosciuto per la guerra civile iniziata dal Fronte Rivoluzionario Unito, nonché per gli innumerevoli colpi di stato avvenuti tra gli anni 1991 ed il 2002 a causa di interessi economici legati alle risorse minerarie del territorio. Risultato: 75.000 morti, ed un numero non calcolato di sfollati e di feriti e mutilati. Ma è anche tristemente conosciuto per la produzione dei diamanti insanguinati, i bambini soldato e, più recentemente, l’Ebola, che, da sola, ha mietuto più vittime in questa piccola nazione che nel resto del mondo.Il vero problema del paese è però un altro, un assassino latente, che strazia il paese da sempre, oggi più che mai, la povertà. La Sierra Leone vive in condizioni di povertà totale.

È la vigilia di capodanno, per evitare il caos di un’altra pesante città africana, decidiamo di passare due giorni in un Hotel che domina la collina, il Country Lodge, un 4 stelle (Africano con prezzi  europei). Le stanze sono datate, con rubinetti un po’ scrostati, e pesanti inferriate per accedere a brutti terrazzini. La cucina è lenta e qualitativamente orrenda per noi italiani (tra una frittura di calamari che potrebbe essere la pubblicità dei chewing-gum Big-Bubble, ed un home-made hamburger: anche Mr MacDonald si sarebbe offeso davanti ad un piatto del genere!) ma molto apprezzata dai nostri amici Anglosassoni che torneranno. L’unica cosa bella dell’hotel, per noi, è la piscina. Ma questo è il ritrovo dei grandi Party, il luogo Chic per eccellenza della Freetown che conta. La prima sera sarà la scena di un matrimonio Afro-americano, con giunoniche donne di colore avvolte in abiti caramellosi dai colori sgargianti: la High Society della Sierra Leone è qui. Il grasso è simbolo di opulenza, di ricchezza e la folla che circonda la carnosa sposa si muove lentamente sotto i chili di oro di pesanti collane e orologi enormi e bracciali sonanti. La sera di Capodanno sarà la volta di un cantante libanese, star internazionale, che terra’ il suo concerto qui, con i pochi eletti che potranno permettersi uno spettacolo da 120dollari, in un paese dove il PIL procapite è inferiore a 500US$. 

Freetown è caos, polvere, rumore assordante, circolazione bloccata.  I tuk-tuk ( Ape con tre posti) procedono a gomitate tra il traffico isterico di un’altra città dove vige la legge del più forte. Negli anni Novanta, Freetown è stata teatro di sanguinosi scontri durante la disastrosa guerra civile che ha martoriato il paese. I ricordi di questo orrore sono purtroppo ancora visibili in città: numerosi sono infatti i mutilati ed i rifugiati di guerra.

 

Verso il 1600 i portoghesi portarono la manioca, o cassava, dal Sudamerica in Africa.  Originario del Brasile, questo tubero è molto apprezzato in Africa. Ma per le popolazioni dell’Africa Occidentale le foglie color verde scuro sono il cibo quotidiano, in quanto con esse si può preparare un piatto squisito, uno stufato di carne e pesce e cipolle, cui vengono aggiunte le foglie e l’immancabile Cubo Magico (Dado Maggi). 

 

Geneticamente simile all’uomo per il 98,6%, molto intelligenti, con mani e piedi simili ai nostri, capaci di usare abitualmente 19 attrezzi (dal cucchiaio per mangiare al bicchiere per bere), gli scimpanzé sono capaci di comunicare i loro sentimenti. Le loro buffe smorfie raccontano una storia, uno stato d’animo, un messaggio. Oggi si stima ci siano tra 25000 e 50000 scimpanzé che vivono in natura, principalmente nella zona centrale dell’Africa, dal sud-est del Senegal alla Nigeria.  L’incontro con questi eterni ragazzini è emozionante. Vicino a Freetown, il Santuario degli Scimpanzé Tacugama, ha una superficie di 100 acri ed è all’interno del Parco Nazionale. Un momento di condivisione con questi nostri parenti allegri e dispettosi, che ti possono accogliere con piroette e giochi con la palla o addirittura tirarti le pietre, se gli stai antipatico…..Onestamente umani! 

 

 

La lingua di terra che parte da Freetown si allunga sulla costa. Spiagge incontaminate seguono i ritmi delle maree. 

A circa mezz’ora da Freetown siamo pronti ad incontrare il Re della gastronomia della Sierra Leone, a Sussex Beach, nella laguna dorata. 

Con orgoglio vi presento Franco’s, la leggenda italiana da più di 40 anni. Il romagnolo doc, che ci racconta di essere stato allattato sul peschereccio della mamma, ha passato la sua  infanzia tra reti, coffe, lenze, ancorette e arpioni. Il suo ristorante è frequentato da ambasciatori e diplomatici. Una semplice terrazza sul mare, senza fronzoli, con brutte tovaglie,  vista mare o melma (seguendo il ritmo delle maree). Bisogna armarsi di quella pazienza che noi italiani dobbiamo imparare……il tempo lento per socializzare e osservare la natura che ti circonda. Saremo altamente ripagati: sua Maestà l’Aragosta si presenta vestita da festa, con quel color corallo che brilla e la scia di profumo che ti attiva la salivazione a cinquanta centimetri di distanza. E che dire del top per i buongustai del pesce, un crudo marinato nel lime che risveglia tutti i sensi assopiti. E come se non bastasse, lui, il carismatico Franco che ti dice: “il pesce qui è molto magro, perché le acque sono calde”. Finalmente degli spaghetti al granchio Al Dente, esattamente come a casa. Due giorni gastronomici da ricordare e difficili da dimenticare. 

 

All’improvviso una pista rossa appare alla fine dell’asfalto, così, senza annunciarsi. Dieci chilometri di salite tra dislivelli e buche e pietre con spuntoni di rocce. 

 

Immaginate di essere catapultati in un posto: aprite gli occhi ed avete davanti a voi una spiaggia paradisiaca bianca, di quel color borotalco che ricorda l’Oceano Pacifico, La Polinesia Francese, la Nuova Caledonia, Rarotonga. Bordata di palme, con dietro una catena collinosa dalle cinquanta sfumature di verde, una cartolina degna del miglior mare caraibico. E , mentre state contemplando tanta bellezza, si avvicina “il gemello” di Johnny Depp in Chocolat che vi dice: “welcome to the Tokeh Beach Resort”. 

Sette capanne in legno su una spiaggia di farina bianca (ed un po’ di camere con ogni confort): il Tokeh Beach Resort ti rimette in forma tra il dondolio del mare e il frinire stridulo dei  grilli. Un’oasi di pace e grande bellezza.

Il Resort è una pietra incastonata in un bracciale prezioso. Negli anni 1970/80 quest’area ha vissuto un periodo di grande splendore. Ritrovo mondano-chic di quell’elite che poteva permettersi di atterrare sull’eliporto di fronte, in mezzo al mare (ora restano pochi pilastri di un ponte che portava alla piattaforma). Johnny Halliday, Francois Mitterand, Bernard Tapie, venivano qui per sfuggire all’orda di fans che avrebbero reso la loro vacanza un inferno, e per ricaricarsi. I proprietari dei resorts erano europei e sposavano il gusto e la raffinatezza dei loro paesi con la natura incontaminata, creando quel mix perfetto, sogno di tutti, realtà per pochi. Purtroppo la guerra civile degli anni novanta/duemila ha distrutto tutto. Restano enormi colate di cemento, fantasmi fatiscenti, resti di edifici ancora moderni nella loro struttura ormai decadente, che circondano grandi buche con vista mare: le piscine sono diventate stagni abitati da rane e quant’altro.

Ricordate la pubblicità della tavoletta del cioccolato Bounty? È stata girata qui, tra le sabbie candide di River No 2, la più famosa spiaggia della Sierra Leone.

Vi si trova una Guesthouse, gestita dalla comunità locale, con camere semplici ed un’altra in costruzione. Il ristorante ha tavoli rossi con le gambe affondate nella sabbia. Il quadro perfetto per gustare un fresco barracuda marinato al lime e cotto allo spiedo, o un’aragosta.

Da lì partono canoe che risalgono il fiume attraverso mangrovie e piante acquatiche e rocce da dove vengono estratte fresche ostriche, fino ad arrivare ad una cascata, dove le donne dei villaggi vicini vanno a fare il bucato.

 

Per chi vuole il posto più in della zona, ad un paio di chilometri dalla spiaggia, dopo alcune splendide ville, dimore di vacanza di famiglie di libanesi proprietarie dei supermercati e dei migliori hotels del paese, subito dopo Tokeh Beach, The Place è un Resort, con piscina vista mare e i materassi come al Club 55, ma qui sulla sabbia bianca. 

 

Un po’ più a sud, un’altra spiaggia, dorata,  Bureh Beach

 

La strada che porta verso Tiwai Island è un’autostrada in costruzione. In realtà è una strada a una corsia per senso di marcia, con regolari caselli nuovi di zecca per il pagamento pedaggio. Il raddoppio è in lenta costruzione con macchine operatrici e personale supervisore cinese. Pare che qui stia succedendo quello che sta capitando in Liberia, cioè la potente Cina sta mettendo le sue radici tentacolari. 

Il paesaggio alterna distese verdi di palme a brutti villaggi di lamiere contorte e mercati affollatissimi, con gente stracarica che si dimena tra le auto. E bambini che spuntano ovunque, tanti, tantissimi.

Un folto gruppo balla sotto una musica assordante di un’afoso pomeriggio.

 

La musica è il leitmotiv  di questa parte d’Africa. A volte anche di giorno, sempre di sera, afro, reggae, rap e hip-pop ma non solo. Ritmi assordanti escono da casse metalliche datate che rimbombano da un villaggio all’altro. Fino all’alba, tra il buio della notte, pronti a divertirsi. La notte africana è totalmente senza controllo. L’altro giorno, sulla spiaggia di Bureh (a pochi chilometri da Tokeh Beach) il concerto di un personaggio locale ha richiamato migliaia di persone da tutta la Sierra Leone. Autobus stracarichi di giovani che disperatamente cercano di trovare soldi per entrare nella spiaggia dove si terra’ l’evento. E tra bottiglie di birra consumate e gettate in mezzo alla strada (così come ogni cosa, quando finisce, la si butta lì sul posto, anche quando il cestino dell’immondizia è a due metri di distanza) e droga ed il rumore assordante che ti entra nei timpani fino alle 6 del mattino, quando il sole fa capolino e gli zombie tornano a riposare, resta lui, immobile, riverso chissà da quando. Freddo, morto tra l’indifferenza della festa, del ritmo, dei suoi stessi amici. Fortunatamente eravamo stati avvisati che poteva essere pericoloso e quindi siamo rimasti in disparte, continuando la nostra banale vita di bianchi, che, magari non hanno lo stesso ritmo nel sangue, ma forse  hanno voglia di vivere un po’ più a lungo.

 

E la vita ricomincia normale, tra spazzatura che si accumula, giornate di siesta sotto le capanne, in attesa della notte per scatenarsi…..mentre le pance delle donne crescono, spesso senza sapere perché.

Dopo Poturu la strada torna sterrata, fino a Tiwai Island.

 

Il villaggio ruota intorno al pozzo, le capanne sono spesso di fango.

La comunità (qui vivono circa 450 persone) ha costruito una sorta di « campeggio »,  un’area dove si possono piantare le tende, e uno spazio circondato da un canneto, dove ci si può lavare, con secchi d’acqua a disposizione. 

Non c’è corrente elettrica, la vita segue i ritmi del sole. Quando cala la sera, i bambini corrono a riempire il secchio d’acqua al pozzo o al fiume, da dove partono le canoe che ci faranno fare un giro nel parco. Scimmie di varie razze sgambettano sugli alberi, difficile  seguire il loro frettoloso saltare da un ramo all’altro. All’interno del parco ci sono i famosi ippopotami pigmei, ma non li vedremo, nascosti completamente nel loro habitat. E poi tantissimi uccelli, un paradiso per il bird watching. A Mapuna l’unico rumore è lo schiamazzo dei bambini, tanti, ma proprio tanti, alcuni ridanciani, altri con ventri troppo gonfie e occhi lucidi. Qui non ci sono coltivazioni, il cibo è principalmente cassava, noci di cocco, banane e una ciotola di riso. Il mercato è scarno: qualche cipolla, tanti peperoncini. Anche le uova sono care…. e il pollo e’ davvero per pochi. Due giorni intensi, di riflessioni, con tante domande senza risposta.

 

Salutata la comunità di Mapuna, si riprende la via verso il confine con la Liberia. Un centinaio di chilometri di strada sterrata, in costruzione lenta, lentissima. Ci sono gli scavi ma per decine e decine di Chilometri non ci sono persone che lavorano. E poi all’improvviso, in mezzo alla strada polverosa, la solita corda tirata che ti fa fermare. Check point, con un poliziotto che si sveglia quasi di soprassalto, si trascina lentamente vicino e chiede i documenti. Un ufficiale sfacciato chiede un regalo: “ è per ricordarmi di te!” . Riparte felice con un cappellino con la visiera di uno di noi. 

Al confine siamo solo noi, ad aspettare ore ed ore, che ci venga restituito il passaporto con il timbro. Alla fine, dopo tre ore e « la mazzetta » si potrà partire. Nel frattempo sono seduta vicino alla corda che separa i due paesi. Non ci sono auto, ma molte motociclette che fanno la spola tra i due stati. La moto si ferma davanti al confine, il poliziotto si avvicina e la persona seduta dietro allunga una banconota avvolta nel pugno. L’ufficiale la prende e tira giù la corda.

Lascio questo paese con molti interrogativi: alcune persone mi hanno raccontato la distruzione della guerra civile che hanno vissuto e le morti dei loro parenti, colpiti dall’ebola, quando non era possibile nemmeno una stretta di mano, per paura di essere contagiati, ma ora sembra tutto passato, anche se tutto questo succedeva solo meno di tre anni fa. Ma sono la corruzione e l’abbandono che più mi toccano, mi sembra di sentire lo slogan dei politici di turno che urlano ad un popolo smarrito e speranzoso “l’onesta tornera’  di moda” , insegnando al paese la disonestà. 

A presto….dalla Liberia

 

 

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