Solomon Islands

 

 

 


Quando si pensa a luoghi paradisiaci si immaginano verdi alture selvagge che degradano lentamente verso spiagge di soffice rena palpabile che si fa baciare dalle onde lievi, di un mare color smeraldo. Le Isole Salomone sono ancora uno dei paradisi naturali, forse perché sperdute in quell’Oceano Pacifico, così lontano da raggiungere. Infatti, furono scoperte nel 1570 da Alvaro de Mendania, uno spagnolo che pensava, ingenuamente , di aver trovato il ricchissimo regno biblico di Ofir, sede delle miniere del re Salomone. Ma poi, più nessuno ne parlo’, perché, a causa di un errore cartografico, non si trovavano.   Fu solo nel 1767 che, finalmente, un capitano inglese vi approdo’ e le fece diventare un protettorato inglese.

Ma la storia delle isole è anche coperta di sangue: durante la seconda guerra mondiale, le isole  furono una base,  prima giapponese e poi Americana. Oggi i relitti bellici, disseminati in mezzo ad una natura prorompente, ricordano quel periodo tragico. Ed anche teschi, con ossa umane, che ogni tanto spuntano quasi come funghi: a questo proposito qualcuno mi ricorda che in passato il cannibalismo era praticato in una vasta area del Pacifico.

La popolazione è al 90% di origine melanesiana e si dedica principalmente alla pesca. Il turismo elitario è fatto sopratutto da appassionati di immersioni (il paese è una delle mete più famose per il diving, tra la splendida barriera corallina 🪸 ed i relitti misteriosi che giacciono ancora sott’acqua).

Un arcipelago che conta  992 isole ed atolli, la maggior parte completamente disabitati.

Malgrado la temperatura sia piuttosto stabile nell’anno (tra i 25 ed i 30 gradi), la nostra stagione estiva (per loro secca) è la migliore per visitare le isole, perché da novembre a marzo si rischia la stagione delle piogge ed i cicloni tropicali. I popoli indigeni vivono qui da oltre 30.000 anni, e, anche se oggi la maggioranza della popolazione è cristiana, la gente continua con i riti tribali, lo sciamanesimo e la magia.

Il centro pulsante delle Solomon è Honiara, che si trova sull’isola Guadalcanal ed ha circa 70.000 abitanti, su una popolazione totale di 600.000. Una capitale a misura d’uomo. Qui sono concentrate tutte le attività del paese. Incredibile, ma i supermercati sono tutti gestiti da cinesi: veri e propri bazar che vendono tutto, dall’ abbigliamento, ai liquori, al cibo.

Ed eccola, in effetti la presenza straniera più evidente, ma anche più silenziosa.

Nel 2006, dopo le elezioni, ci sono stati gravi disordini in quella parte di città chiamata Chinatown. I manifestanti accusavano le imprese,  legate al governo cinese, di aver truccato le elezioni. Le proteste esplosero nel 2021, quando molti edifici della zona vennero completamente bruciate.

 

I manifestanti erano opposti a Manasseh Sagavare, il presidente “amante” della Cina.

Oggi l’atmosfera che si respira è strana. La strada che dall’aeroporto porta al centro città è totalmente dissestata e ci sono lunghe code a qualsiasi ora del giorno. Ma il mio autista mi dice che a breve tutto sarà ricostruito: i cinesi stanno lavorando sodo, anche perché, a partire dal 19 novembre di quest’anno, le Solomon  ospiteranno  24 paesi  del Pacifico (compresi Australia e Nuova Zelanda) che si sfideranno in 24 discipline sportive, 14 giorni di gare per i Pacific Games.

 

 

Tutto il percorso è un cantiere a cielo aperto, con la “strana“ scritta ovunque: “China Aid for shared future”.   Quali siano i reali rapporti/interessi della Cina, non lo so.

 

So solo che quando faccio la stupida domanda : “ti piacciono i cinesi? ”, mi sento rispondere: “assolutamente no, prendono tutto, hanno il monopolio dei negozi e noi siamo costretti ad andare a comprare da loro!”.

Pare che la Cina abbia stretto legami diplomatici con le Isole Salomone sono nel 2019. E si mormora di un patto segreto. Gli USA ed alleati temono che il patto porti alla creazione di una base militare cinese in queste isole strategiche. Anche se la Cina nega, in realtà i segnali di una forte presenza / influenza sono evidenti: come per es. il piano Huawei per costruire oltre 150 torri di telecomunicazioni. Sorveglianza cinese?

In parallelo, Stati Uniti ed Australia stanno aumentando i loro aiuti nel Pacifico: ma « it’s too late….. è troppo tardi, i giochi del Dragone sono fatti!”.

La mia guida, poi si lascia andare: “si stava molto meglio prima dell’ indipendenza. Quando eravamo sotto il governo britannico tutto era perfetto: c’era un rispetto delle regole, i prezzi erano bassi e si viveva abbastanza decorosamente. Ora è un caos totale, gli scontri tribali continuano, perché tutti vogliono il potere, la vita in città è molto dura. Chi può scappa in Australia: il governo australiano cerca manodopera ed offre visti anche di tre anni. “Io vorrei andar via, ma sono vecchio, ho 60 anni. Posso venire a lavorare in Europa?”.

La visita della città porta ai ricordi di guerra: il monumento Solomon Scouts Coastwatchers è dedicato a tutti quelli che hanno servito la patria. Atkin (la mia guida) mi mostra con orgoglio il nome di suo padre, caduto per la libertà.

 

Salendo sulla collina si arriva al Solomon Islands Peace Park Memorial, dedicato nel 1992  agli americani ed alleati che hanno lottato per la liberazione del paese nella guerra di  Guadalcanal da agosto 1942 a febbraio 1943. Oltre 5000 vite americane perse nei sei mesi di battaglia contro i giapponesi.

 

 

La religione principale del paese è Cristiana. La Holy Cross Cathedral, sorge su una lieve altura ed è decisamente moderna.

 

 

Una sosta interessante è quella nella piazza degli artigiani. Un mercato fatto da artisti locali che producono e vendono sul luogo i loro manufatti.

Sarti,

 

creatori di bijoux e maschere,

pittori

 

 

anche su stoffa

 

 

Tutti molto gentili ed accoglienti. Sono l’unica potenziale acquirente, e dichiaro subito che, poiché viaggio 4 mesi, con solo bagaglio a mano, purtroppo non potrò comprare nulla. Nessun problema, sono tutti contenti di scambiare quattro chiacchiere, e sono curiosi di conoscere il mio paese, con tante domande, anche un po’ naïf, tipo: “anche da voi ci sono gli autobus?” . 

Il luogo più interessante della città è naturalmente il mercato, fulcro d’incontri e scambi. Qui c’è il trionfo dei frutti della natura: il profumo dell’ananas, delle banane, del mango.

 

 

E poi l’immensa zona dedicata all’oro del mare: tutti i tipi di pesci sono in bella mostra, così come i granchi e vari tipi di conchiglie e ostriche. 

 

Poi  verdure, ottime alghe e l’immancabile zenzero.

 

 

Ma purtroppo c’è anche la noce di betel (o areca) uno stimolante che la gente avvolge in foglie di vite da masticare, dopo averla intinta nella calce. Dopo il primo, intenso calore provocato dal succo che entra nello stomaco, dovuto alla reazione chimica,  si prova un senso di benessere totale: consumato per lungo tempo è come se non si sentissero la stanchezza e la fatica.

La sostanza, tipo tabacco, lascia un residuo rosso sui denti, che vengono anche corrosi. Si vedranno molte persone con i denti completamente erosi, addirittura, la sostanza contenuta, con l’uso frequente, può portare al totale scollamento dei denti.

Sulla strada per l’aeroporto si incontreranno meravigliosi banchetti che preparano pesce alla griglia, banane e cassava. Un ottimo street food, servito dentro foglie di banano.

 


Poco lontano, a Tenaru Beach,  si trova la “fattoria” di Amazing Grace.

 

 

Si tratta in realtà di una piantagione di cacao, e la proprietaria, Mrs. Grace, organizza visite guidate con degustazione: purtroppo è solo su prenotazione e per minimo dieci persone.

Questo è il frutto da cui si ricava il cacao

Abbiamo comunque provato, sperando che lei fosse li’. In realtà abbiamo incontrato la figlia, che stava pescando, proprio davanti casa, e ci ha detto che la mamma era al lavoro nella piantagione. Peccato! Il luogo è incantevole.

 

 

Sempre fuori città si trova un villaggio, Betikama Adventist College, una comunità religiosa che offre vari tour. Il Bird watching è uno dei più richiesti: il mio tempo, purtroppo è limitato. Riesco comunque a scorgere una serie di uccellini colorati meravigliosi che svolazzano come farfalle. E poi due splendidi gufi, dall’aria curiosa.

L’indomani, ritorno sul posto ed un signore molto socievole, gestisce, tra altro,  il museo dei relitti della guerra.

 

 

lui è un artista e lavora anche il legno

 

Atkin mi accompagna all’aeroporto, dove mi attende il volo interno. È pensieroso, mentre guida l’auto con la bandiera americana. Prima di arrivare mi ridice ”mi piacerebbe venire in Europa”.

 

 

Lasciata l’anonima capitale, un volo di circa 2 ore e trenta (con una veloce sosta a Seghe), porta a Suavanao, sull’ Isola di Santa Isabel. Sull’aereo sono l’unica turista, con tre uomini locali che tornano nei villaggi ed alcuni cinesi e malesi, che, scoprirò più tardi, vanno a disboscare alcune isole: il legno verrà inviato in Malesia.

 

Quando l’aereo atterra sulla sottile striscia di prato, e le ruote slittano sul terreno ancora madido dopo la pioggia della notte scorsa,  la gente accorre: sull’aereo ci sono più scatoloni che persone. Grossi pacchi di cartone  avviluppati in spesso nastro adesivo, vengono distribuiti. È come l’arrivo di Babbo Natale, qui non si trova nulla, a parte il cibo fresco (pesce, frutta e verdura), tutto il resto deve essere importato.

 

 

Al Papatura Island Retreat il motto è “Steps off the Map”.

Santa Isabel è uno dei luoghi più interessanti del Pacifico per i suoi paesaggi naturali ancora intonsi, ed una vita che scorre lenta come in passato. Un paradiso, anche per gli amanti delle immersioni, grazie alla ricca fauna marina.

Al Papatura retrait potete fare giri in canoa, o immersioni (anche solo snorkelling) intorno ad un relitto, un aereo caduto nella seconda guerra mondiale: ho amato fare snorkelling , e vedere la fauna marina colorata uscire da vecchi rottami, la perfetta sintonia tra il grigiore del metallo arrugginito, e la vivace vita a colori dei pesci dalle striature gialle e nere.

 

 

 

Naturalmente la pesca 🎣 è d’obbligo

Leggere un libro immersi nella natura

 

 

Il pontile è il luogo dove rilassarsi e perché no….

 

 

 

….Sognare, semplicemente lasciandosi dondolare dall’amaca.

 

o assistere allo spettacolo di madre natura

 

le camere del lodge in legno “pieds dans l’eau”, per vivere intensamente l’atmosfera di immersione totale nella natura.

 

 

 

ogni tanto, in camera,  arrivano graditi ospiti:

 


 

 


Gli orari degli spostamenti in barca sono dettati dalle maree… e qui non si deve sbagliare. Il trasferimento verso Noguna dura oltre due ore di navigazione, dove si sperimentano le quattro stagioni del Pacifico. Dal sole cocente, si passa alla nebbia, che si infittisce sempre di più, seguita da scrosci violenti. E poi ancora sole, e poi vento e poi….finalmente appaiono delle macchie dalle cinquanta sfumature di verde. Noguna gueshouse è un miraggio, il villaggio delle fiabe, il disegno che esce dalla fantasia del bambino. La casetta sul mare, la piccola palafitta circondata da un mare smeraldo dove sguazzano pesci colorati e stelle marine color cobalto. Ed intorno,  una natura prorompente: grandi macchie di tutti i verde oliva del mondo, isolotti che emergono, semplicemente per  confermare che la natura è un’opera perfetta.

La famiglia di Aida ti accoglie così, con la semplicità di un popolo che conserva preziosamente le tradizioni. L’ospite va onorato ed i ragazzi intonano il loro canto, mentre lei mi mette al collo la profumata ghirlanda di benvenuto.  

 

 

Poi la fiaba prende forma, tra i sorrisi di un popolo dall’aria serenamente pacata, in un luogo che è decisamente povero, ma molto dignitoso. La natura qui è generosa: molti alberi che danno succosi frutti e poi un mare estremamente pescoso. 

I bambini aspettano con ansia quei pochi turisti che si inoltrano in questo luogo remoto: oggi è il 22 luglio e gli ultimi turisti sono del 5 giugno: una coppia di giapponesi amanti del birdwatching nei luoghi lontani e poco conosciuti e, qualche settimana prima, tre amici brasiliani.

C’è fermento: malgrado sia l’unica ospite della guesthouse, la barchetta parte vuota verso il villaggio (la guesthouse in realtà sorge su un’isoletta privata, a circa quindici minuti di barca dal paese) e torna piena di bambini. Aida me l’aveva anticipato: stasera ci sarà uno spettacolo tradizionale.

 

Il cielo continua a fare i capricci: scrosci di acqua e nuvole che incupiscono l’orizzonte, poi qualche schiarita, ma non sarà mai l’idillio del sole a picco. Forse è meglio, perché qui i raggi sono potenti, e pericolosi.

La gueshouse è veramente un’oasi di pace, in un contesto naturale unico e paradisiaco. Ed è la prima volta dove tutto è pulito, senza traccia di plastica o altro (come purtroppo ho visto in migliaia di altre isole). I 2 bungalow sul mare sono semplici ma deliziosi. Il patio ha una vista spettacolare sulla natura e l’unico rumore è l’acqua che sfiora le mangrovie, o un pesce che saltella fuori dall’acqua.

 

 

 

La vita ha i  ritmi lenti: la prima colazione alle 7:30, il pranzo alle 12:00 e la cena alle 18:00.

Florence è la zia di Aida e vive qui, ha 71 anni e, dopo due giorni di conoscenza, si lascia andare ed inizia a raccontare la sua vita. Nel villaggio è conosciuta come “la ribelle” perché, a vent’anni, si rifiutò di passare la notte con quello che doveva diventare il suo futuro marito. Scappò e si rifugiò dalla zia dicendo che lei voleva sposare un altro giovane, che conosceva da anni. Alla fine fu così, lei convolò a nozze con l’uomo che amava e la famiglia accettò, anche se in paese la nomea di ribelle restò per sempre. Oggi la maggior parte delle famiglie continua a scegliere la sposa del proprio figlio. Quando una bambina ha 5/6 anni, i genitori già si vedono arrivare la famiglia del maschio a chiederla in moglie: è un semplice accordo, senza denaro, senza regali, solo una intesa verbale. Quando la fanciulla avrà tra i diciotto ed i vent’anni, verrà celebrato il matrimonio, con un semplice banchetto.

 

 

Florence è empatica, la sua risata coinvolgente ed i suoi racconti variano dalla “moderna” ribellione di gioventù, ad affermazioni di una ingenuità disarmante. Mi guarda e mi chiede: “hai un altro paio di occhiali da regalarmi? La mia vista si è molto abbassata, vedo molto male”. Le chiedo: “Quante diottrie ti mancano?”. Lei mi risponde “non ci vedo bene, mi servono degli occhiali”. Le dico: “ma forse non hai la mia stessa correzione. Non so se ti vanno bene i miei occhiali?”. E lei “ma non ci vedo. Posso provarli?”. “Certo!”. Dopo pochi secondi si toglie i miei occhiali e mi dice:”è ancora peggio,non ci vedo. E tu, perché ti metti gli occhiali se poi con quelli non ci vedi?”.

Mentre intreccia con gran maestria cesti di diversa fattura, chiacchiera e mi riempie di domande. Poi tocca a me. Ed è ora di parlare del passato….ho letto che una volta qui c’erano i cannibali….magari tua mamma ti ha raccontato qualcosa. “Ah… si sì certo. A me però, ora, piace solo il pesce!”. Non so come interpretare quel…. “Ora!”. Meglio non indagare.

 

Aida invece ha avuto un matrimonio combinato. “Un giorno mia madre mi ha detto che stava arrivando il mio futuro sposo”. “Ok”. Dei tre figli, due vivono nel villaggio (a quindici minuti di barca) perché vanno a scuola. Solo la piccola vive qui.

 

 

Celina è bellissima, con i suoi capelli biondi e gli occhi vispi.

 

 

 

Questa mattina ho fatto un giro del villaggio: la scuola è l’edificio più grande (dei mille abitanti oltre 300 sono studenti): alle 8:40 si intona l’inno nazionale, seguito dalla preghiera, prima di entrare in classe. La divisa è bellissima : camicia bianca e pantaloni blu , gonna blu per le ragazze. Ed in effetti, guardando bene, ci sono decisamente più fanciulle che maschietti.

 

Nel villaggio non esiste la tv, ne’ la radio: solo il proprietario della mia Guesthouse ha una sorta di impianto, e ben quattro canzoni melanesiane da far sentire. Per questo le danze vengono spesso fatte qui. Nel villaggio,  i bambini si allenano alla danza senza musica, poi vengono alla Guesthouse e provano la loro coreografia.

 

 

 

 

Non ci sono strade, quindi non esistono auto. Ecco perché, pur trovandomi nella stessa isola dell’aeroporto “, sarò costretta a fare due ore e mezzo di barca: tutto l’interno dell’isola è foresta, selvaggia, tropicale, incontaminata.

Il villaggio è di circa mille abitanti. Quando chiedo: “quanti bambini?” mi viene risposto: “quattrocento, o forse seicento”…. Non si sa. Qui i neonati spesso non vengono registrati, soprattutto quando nascono in casa.
In realtà esiste quello che loro chiamano “ospedale” dove vivono tre infermieri, ma la maggior parte delle donne partorisce in casa.

il villaggio è fatto di palafitte di legno  che si appoggiano sulla riva del mare : sembrano così fragili ed è facile capire come un uragano possa spazzare via vite in un baleno


 

 

 

 

 

 

la comunità del villaggio è molto unita: ci si ritrova nel grande capannone creato per la socializzazione

 

Eccole, le tre generazioni, che si incontrano, per strada

 

 

Oppure, naturalmente, in chiesa.

 

 

I maschietti amano sentirsi dire: “sei un vero guerriero!”

 

 

Camminando fuori dal villaggio, Aida si ferma e mi dice: “vuoi vedere un teschio?”. Li’, in mezzo ad un prato, le ossa di un cranio spuntano, come funghi. E, mentre penso, inevitabilmente, alla storia dei cannibali, lei mi dice: “credo siano lì dalla seconda guerra mondiale. Ce ne sono molti, sparsi in tutta l’isola”.

 

 

Le centinaia di isole e atolli intorno sono pennellate, tutte uguali e tutte diverse.

 

 

Rapita island è l’isola dei racconti, sembra  di vivere come Robinson Crusoe: Tra sabbia corallina, e palme 🌴, il luogo dei sogni anti stress. Qui il rumore è dato dal canto degli uccelli, e qualche cocco che cade, perché la natura è sempre in movimento.

 

 

Malgrado la loro lontananza da tutto, le influenze asiatiche, polinesiane ed occidentali, sono evidenti nel cibo locale.

Il pesce è sempre freschissimo e profumato con gli aromi dello zenzero.

 

Qui il granchio 🦀 è stato cucinato con aglio, cipolla, snake bean (una sorta di zucchina trombetta, anche se in realtà è un fagiolo, dal gusto molto delicato), zenzero e latte di cocco: ottimo

 

 

La cassava è la patata locale, onnipresente, lessa, fritta, fatta alla griglia, ecc. Insomma il contorno più classico.

Come accompagnamento a pesci o carne si trova anche in una  sorta di purè un po’ grezza, ottenuta dalla cassava grattugiata, lessata cui poi viene aggiunta la crema di cocco. L’ho preparata in casa con Florence: dopo aver grattugiato la cassava, questa viene inserita dentro le foglie di “zoviu” simile alla foglia di banano chiuse a portafoglio e poi cotta in acqua bollente. Venti minuti dopo si apre e si aggiunge la crema di cocco

 

 

 

E poi tutti i generosi frutti del mare

 

Il mio viaggio è terminato, è ora di partire per la Papua Nuova Guinea, un paese molto misterioso e poco turistico. Stay tuned

 

Bye bye Solomon lovely people 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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