Papua New Guinea – Parte 1. (Da Madang a Goroka)

 

 

 


Uno dei paesi più strani al mondo, per me, è la Papua Nuova Guinea (PNG). Uno stato enorme, ricchissimo di risorse, giacimenti d’oro, rame, argento, con mare cristallino e foreste immense, piantagioni di caffè, cacao e cocco, con alte montagne verdi e frutti di ogni tipo. Un paese che ha ottenuto l’indipendenza dall’Australia nel 1975: un’isola preistorica catapultata nel XXI secolo. Sembrerebbe l’inizio di una bella storia. Ma, purtroppo,  la Papua Nuova Guinea (PNG) è uno dei paesi più pericolosi al mondo. Ed è anche nel mirino delle multinazionali, che hanno come unico interesse, non lo sviluppo del paese, bensì solamente lo sfruttamento delle risorse, senza scrupoli. Se dovessi scegliere una sola parola per descrivere come vive  oggi il paese direi “caos”, perché non c’è alcuna regola, tutto è aleatorio, niente è certo. E poi….

Oggi nella capitale c’è una massiccia presenza militare, che ricorda i brutti periodi della seconda guerra mondiale, quando le forze statunitensi e australiane accorsero a difendere il paese dai giapponesi. Ma la storia cambia: Le Navi da pattugliamento (britanniche, francesi, giapponesi, statunitensi) fanno bella mostra nel mare di fronte a Port Moresby. Il paese è tornato a giocare un ruolo importante nella lotta tra i due giganti, gli Stati Uniti e la Cina. Sembra così strano, perché la PNG è un paese pieno di gente povera, con travagliate lotte intestine, ma nel nuovo contesto geopolitico, la sua posizione geografica diventa fondamentale, trovandosi vicino a Guam (il centro militare americano nel Pacifico) ed all’Australia (alleata degli USA). La Papua è anche  ricca di risorse naturali, come il rame, il nickel ed è importante esportatore di gas. Nel 2022 il patto di sicurezza stilato tra la Cina e le Isole Salomone, ha allertato il governo americano, che sta cercando di allargare gli accordi con un’area più estesa del Pacifico. Il Primo Ministro Papuano ha dichiarato di voler essere amico di tutti (o nemico di nessuno). Oggi gli USA promettono di impegnarsi e la PNG spera in un ritorno economico importante, da un eventuale patto, nei prossimi 15 anni. Dall’altra parte, la Cina continua ad essere il primo partner Commerciale di un paese con un alto indice di corruzione (dati di Transparency International) ed un bassissimo indice di sviluppo umano. Il livello di criminalità è molto elevato, in un paese con migliaia di tribù diverse che parlano tantissime lingue, e vivono in un luogo con collegamenti interni decisamente scadenti ed ostacolati dalla geografia: foreste, montagne, isole (un esempio è il movimento secessionista di Bougainville, che ha appena ottenuto l’indipendenza, con un referendum).

E pare che la Cina (tramite il Global Times, giornale in lingua inglese del partito comunista cinese) abbia accusato gli Stati Uniti addirittura di attività mafiose nel Pacifico.  Questo è il peso della PNG nei nuovi equilibri geopolitici.

Certo, la situazione è delicata e, sinceramente, fa paura.

Dopo tutte queste premesse, sembra un paese da cui stare ben lontani. E quindi vi stupirà sapere che, in realtà,  l’indole degli abitanti, non solo è estremamente cordiale, ma i Papuani sono forse il popolo più accogliente che io abbia mai incontrato. L’entusiasmo con cui siamo stati accolti nei villaggi è stato così toccante che inizialmente mi sembrava costruito. Abbiamo deciso, in tre, di fare un lungo viaggio, di tre settimane, totalmente fuori dal circuito classico, ed andare a vivere alcuni giorni in vari villaggi  remoti, dove il turismo non è ancora arrivato. È stata un’esperienza emotivamente toccante: la gente è curiosa e rispettosa al tempo stesso, con un senso dell’ospitalità che oggi è difficile trovare. Nella semplicità di una vita ancora primitiva, senza alcun agio e senza nozioni del tempo, noi siamo diventati il fulcro di ogni famiglia, lo straniero venuto da lontano, che va rispettato e osservato, perché diverso, ma meravigliosamente interessante. Tante donne (e la maggior parte dei bambini) mi toccavano i lunghi capelli, come se fossero qualcosa di prezioso, e mormoravano : « beautiful ».  E la mia amica,dai lunghi capelli biondi, è stata spesso presa d’assalto da curiosi, che osservavano la chioma color del sole, con riverenza, e grandi bocche spalancate.

In mezzo ad una natura incontaminata, con flora e fauna uniche, è stato un viaggio impegnativo, perché il territorio è ostile ed i collegamenti complessi. Le Highlands sono state esplorate per la prima volta da uno straniero solo nel 1930: non c’è un altro paese nel pianeta dove la civilizzazione sia arrivata così recentemente. Gli autoctoni  vivevano in  stato tribale, con riti ancestrali violenti, come il cannibalismo (anche se tutti i capi tribù ci tengono a precisare che è sempre e solo stato praticato per vendetta) e sembra che addirittura una tribù non conoscesse l’uso della ruota.

In Papua esistono tantissime culture diverse, l’isola è uno dei luoghi al mondo più interessante per varietà di tribù con tradizioni incredibili, un caleidoscopio etnico, linguistico e culturale. La popolazione è prevalentemente rurale, l’85% degli abitanti vive nelle campagne e oltre il 40% ha meno di quindici anni. 

Sulle seimila lingue parlate nel mondo, oltre 850 sono parlate in questo paese, che conta circa nove milioni di abitanti. È come se una lingua fosse parlata solo da poco più di diecimila persone, anche se, in realtà mi hanno detto che ci sono alcune lingue parlate da meno di mille persone.

E, spesso, capita  di arrivare in un villaggio remoto di montagna, e qualcuno ti dice, orgogliosamente: “io parlo tre lingue, quella del mio villaggio, il pidgin e l’inglese”. È interessante sapere che Il pidgin è una lingua con alla base molte parole inglesi , ma anche tante che arrivano dal vocabolario tedesco e portoghese, segni lasciati dagli europei in passato. Ogni tribù ha la propria unicità, con un attaccamento profondo alle proprie tradizioni ancestrali che si perpetuano nel tempo e che, stranamente, convivono con la fede cristiana. Così come persistono i riti propiziatori e le iniziazioni e riti di passaggio all’età adulta. Questo ha portato ad un’immensa ed interessante forma espressiva culturale, ma anche a lotte tribali che durano ancora oggi (il mancato pagamento della moglie al villaggio, una lite per la terra, un maiale rubato…. tutto questo scatena rivolte sanguinose). Riassumendo: Tradizioni, cristianita’, fedi animiste, ed orgoglio di appartenenza, in questi popoli fortemente identitari.

 

 

 

 

 

Il nostro viaggio, assolutamente antropologico, oltre che naturalistico, parte da Madang, dopo una breve sosta nella capitale, che, francamente ho voluto tralasciare, perché considerata molto pericolosa e poco interessante: Port Moresby è una delle città più violente al mondo.

Madang è un porto, dove arrivano navi cargo e, ogni tanto, qualche crociera. La città è brutta, con i supermercati uno vicino all’altro (tutti gestiti da cinesi, tranne uno, australiano), le banche con molti uomini della sicurezza e qualche negozio. Inferriate, filo spinato, lucchetti, indicano che il luogo non è tranquillo, anche se noi siamo stati accolti con saluti e benvenuti ovunque. In realtà la nostra guida non ci ha mai lasciati soli, siamo stati scortati durante tutto il periodo (oltre tre settimane), da almeno due persone.

A Madang si può alloggiare al Madang Resort, in belle casette con prato affacciate sull’oceano. Ed una splendida piscina.

 

 

Ma per vivere l’atmosfera magica del luogo, occorre andare con un barcaiolo, fuori, in mare aperto. Tra decine di isolotti, si trovano angoli di pura felicità.

 

 

Pic (da Picnic) Island o Tar Island, è un miraggio, l’isolotto dei sogni. Tra palme 🌴 e sabbia fine ed un mare cristallino, si respira quel dolce salmastro di natura incontaminata. Siamo gli unici tre turisti su una battigia che sembra un quadro e ci muoviamo con la lentezza di chi non vuole neanche sapere che il tempo passa.

 

 

 

Poi decido di fare una passeggiata dall’altra parte dell’isola, ma vengo bloccata dal barcaiolo: “è pericoloso: lì, in mezzo a quella natura incontaminata, vivono serpenti velenosi”

Rientrando verso Madang c’è un’altra isola che merita una visita : Krangket Island. Qui vive una folta comunità di persone, ed in un caldo pomeriggio settimanale, si incontrano soprattutto bambini. Un lodge, o meglio una guesthouse, può accogliere i turisti, in semplici palafitte di bambù, con vista mare e natura.

 

 

Una piacevole camminata, su un sentiero battuto, di oltre mezz’ora, attraversa il paese, con gli abitanti, felici di vedere turisti. Alcuni uomini sono al lavoro, intenti a costruire la casa, o pescare. 

 

 

 

Tutti sorridono e posano per la foto di rito, con un meraviglioso grazie, che sarebbe da noi dovuto, per la loro disponibilità.

 

 


Davanti al Madang Resort, il mercato giornaliero è povero: le donne propongono pesci di vario tipo, compresi polpi, e salsicce , tutti cotti in un’olio dal colore scuro e purtroppo poco allettante. Peccato! L’unica cosa che si può mangiare è il prodotto tipico della PNG, la patata dolce.

 

 

Qualche artista locale è al lavoro, tra dipinti ed oggetti di artigianato

 

 

 

ma la maggior parte dei ragazzi e uomini sono stesi sull’erba a dormicchiare

 

 

O sotto enormi alberi, per ripararsi dal caldo sole.

 

Dopo questo meritato riposo, siamo pronti per la grande avventura.
Highlands: Arriviamo!

La strada da Madang a Goroka è di circa  320 chilometri. C’è un’unica strada che collega le due città. Dovevamo fare il tratto in PMV (Public Motor Vehicle), praticamente pulmini locali, ma la nostra guida ha optato per un’auto, ed ha portato con se’ un’altra persona. Fuori città, inizia una fitta foresta, che ci seguirà per quasi novanta chilometri. Una strada dissestata,  in mezzo ad una natura incontaminata meravigliosa.

 

 

 


Non si incontrano auto. Sono seduta dietro e, dopo un po’, vedo un’auto (simile alla nostra), che ci segue, con lo stesso ritmo, molto vicina, ma mai in sorpasso. Finalmente, dopo aver percorso più di un’ora e mezza nella fitta giungla, arriviamo in un villaggio, con un gruppo di case ed un piccolo, ma vivace, mercato con donne entusiaste di vederci. L’auto che ci seguiva si accosta e scendono tre uomini, che iniziano a parlare con la nostra guida. Un attimo di panico, che passa solo quando Caspar (la guida) ci dice: “abbiamo percorso un tratto molto pericoloso, ma finalmente d’ora in poi è tutto tranquillo. E questi signori sono stati mandati per scortarci, ed aiutarci in caso di problemi”. Scopriamo solo ora che, nel tratto di giungla selvaggia, soprattutto di notte, gli autobus si trovano all’improvviso un tronco in mezzo alla strada. Costretti a fermarsi, saranno presi d’assalto da briganti che si impossessano di tutti gli averi e, a volte, anche delle giovani ragazze, prede di stupri.

 

 


La strada riprende, tra pendii di un bel verde, e fotogeniche palme e canne da zucchero. Un trionfo di natura selvaggia, ma ordinata, che fa da ala ad una strada sempre dissestata, che si inerpica dolcemente.

 

 

 

 


Goroka, a milleseicento metri, è un’altra città orrenda, senza arte né parte, con mercati caotici ad ogni ora del giorno (da una parte il mercato della frutta, della verdura e della noce di betel e, dall’altra, il mercato della marijuana e delle armi). A proposito della noce di betel, purtroppo, questo, penso sia il principale problema del paese. La maggior parte della popolazione è completamente dipendente da questa, che è una vera e propria droga.

La noce di betel in se’ non è nociva, ma viene masticata con una sostanza la cui reazione chimica è esplosiva.  La preparazione è complessa: dopo aver spaccato con i denti la noce, la si “condisce” con un mix di calce macinata. Il bolo viene masticato, senza ingerirlo: alla fine tutto viene brutalmente sputato. Si vedranno ovunque sputi rossastri, come fosse sangue: uno schifo! Chi ne fa uso dimentica la stanchezza, la fame e ne diventa dipendente. I denti si colorano di rosso, e, a lungo andare,  si corrodono. Si vedranno tantissime persone (uomini e donne), con i denti completamente rovinati e la lingua rosso fuoco.

 

 

 

 

 

Un problema decisamente serio, che, purtroppo, non viene considerato tale. Nel mio viaggio di tre settimane, posso dire che almeno l’ottanta per cento, mastica le terribili “betel nuts”. I bambini iniziano a 7-8 anni.

 

Per ora vi lascio qui, ma spero di ritrovarvi a breve: dalla seconda parte in poi ci saranno i racconti  più interessanti del paese, le mie lunghe giornate trascorse con diverse tribù, la loro vita ancora primitiva e le loro tradizioni : un’immersione in un passato decisamente remoto. Vi anticipo qualche foto, ma, credetemi, quello che racconterò è uno straordinario mondo che vi catapulta indietro, in un mondo che vive ancora senza elettricità, senza telefoni, senza acqua corrente! È poi, più avanti, vi farò partecipare ad uno dei più interessanti e colorati festival culturali del mondo. A Mount Hagen, ogni anno ad agosto, le tribù delle Highlands si riuniscono e sfilano con i loro costumi tradizionali. Due giorni intensi, tra musica e vera e propria arte: il trasformismo di ogni tribù (in onore degli avi) è straordinario. A presto 

 

 

 

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