Kiev in due giorni

Kiev è grande, viali enormi ti accolgono arrivando dall’aeroporto. Tre milioni di persone in un agglomerato che ti porta subito al retaggio storico, tra pezzi di storia passata e recente. Le tracce medievali di chi l’ha attraversata per conquista o solo per proseguire verso altri lidi, si fondono con le orme pesanti di un recente passato sovietico.

Un po’ San Francisco, un po’ Montmartre, a Kiev bisogna prepararsi a scarpinare: la salita di Andriyivsky è il collegamento tra la città vecchia ed il quartiere di Podil. Si cammina per un chilometro su una strada di ciottoli, sfiorando negozi principalmente di artigianato locale.

La Cattedrale di Santa Sofia, terminata nel 1037, con le sue 13 cupole e centinaia di mosaici, la chiesa di Sant’Andrea (del 1767) con  5 cupole e la Cattedrale/Monastero di San Michele (ultimata nel 1888) con le cupole d’oro, che splendono sul suo color azzurro. Le chiese ortodosse di Kiev sono dei veri gioielli di architettura.

In centro si passeggia lungo Khreschatyk, il viale in mezzo a palazzi d’epoca: in alcuni si sono stabiliti i grandi marchi dello shopping di massa, catene internazionali che espongono le loro mercanzie made in china di brutta fattura, tra splendide mura antiche e volte affrescate. Finalmente si arriva in Piazza Maidan dove c’é l’obelisco dell’Indipendenza.

 

In una splendida giornata estiva, vale la pena prendere la comodissima metropolitana che, in poco tempo ti porta fuori città, anzi appena fuori dal cuore della città. Un incredibile polmone verde sulle rive del fiume Dnepr, con belle spiagge per le diverse esigenze, da quelle gratuite, ma comunque pulite, ai veri e propri stabilimenti balneari con tanto di lettini e ombrelloni più o meno modaioli. Appena usciti dalla metro, street food e ristoranti locali, anche con musica.

E’ tra le spiagge libere che potrete condividere gli spazi con i locali, tra pensionati e pescatori che si crogiolano al sole e giocano a carte sulla sabbia dorata.

A Kiev esiste il paradiso delle donne, che non teme i lunghi freddi inverni, il ghiaccio e la neve.  Basta scendere nei sottopassi, lungo la via centrale,  per trovarsi in un immenso centro commerciale, fatto di piccoli negozi di ogni genere, con grande spazio all’abbigliamento.  Le ultime collezioni sono lì ad attendervi e potete tranquillamente perdere la nozione del tempo li’, sotto terra dove il sole non arriva mai, tra un tacco 15 ed un strascico di paillettes. Entrate in tuta da jogging  ed uscite pronte per una gran soirée, comprese unghie laccate e lunghe ciglia civettuole. Uscendo da uno di questi sottopassaggi si arriva vicino al mercato Besarabski, bello, forse troppo perfetto. Il caviale é esposto come in una lussuosa gastronomia Milanese, la frutta orna cesti da centrotavola di un giorno di festa, tutto splende come in una gioielleria, anche i prezzi che sono adeguati alla clientela, fatta prevalentemente da turisti o dalla élite della città.

Dopo tanto camminare, una sosta a colazione é d’uopo. Se non volete perdere troppo tempo ma cercate l’atmosfera locale, in città c’é una catena di self-service chiamata Puzata Hata, dove signore sorridenti in abiti tradizionali, riempiono piatti tipici, dai meravigliosi ravioli di patate o carne serviti con panna acida, a frittelle di patate, alle immancabili zuppe, con la regina, il Borsch, simbolo nazionale, di barbabietole, lardo ed erbe.

Alla sera sono stata da Katiuscia, un posto veramente unico. Sembra di entrare in una brutta casa degli anni 1960-1970, come quelle delle nostre nonne in campagna, con orrendi soprammobili in brutta ceramica, tipo funghi, ballerine, cani, galli, appoggiati su credenze in formica. Oggetti che in piemontese chiamiamo “ciapapuvre” : acchiappa-polvere. Ed ecco che spuntano ogni tanto grandi piante verdi, di quella tonalità di verde brillante così poco credibile che conferma il materiale: pura plastica. Un posto davvero brutto, ma che mi addolcisce il cuore, perché mi ricorda quando i  nonni materni partivano in autobus per venire a trovarci e mia mamma mi diceva di tirar fuori dalla cantina lo scatolone pieno di orridi regali di Natale, da esporre, perché il nonno si sarebbe offeso se non avesse visto i suoi doni. Ma Katuscia non é solo ricordi: il menù presenta le 50 sfumature di “vareniki”, ravioli a mezzaluna, con farcie di ogni genere, dalla carne alle verdure, tutti annaffiati da burro fuso e panna acida. E per finire in dolcezza i ravioli ripieni di ciliegie con salsa alla vaniglia.

La seconda sera vi consiglio Tara’s Bulba, un altro locale tipico, con personale in abiti locali ed i migliori vareniki con formaggio, aneto e sottili anelli di cipolla fritti, mai gustati

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