Papua New Guinea 🇵🇬 Parte 3 (le tribù delle Highlands)

 

Riprendiamo il PMV (autobus) locale, per spostarci in un altro villaggio.

Gli Asaro sono un gruppo di oltre 10 tribù. Si dividono in molti ceppi, decisamente diversi, per riti, tradizioni e, spesso, anche lingua.

In alcuni villaggi si svolgono spettacoli per ricordare episodi del passato, tradizioni che si tramandano di padre in figlio, e storie che mischiano fede e sciamanesimo.

Nel villaggio dei Mud Men, gli uomini del fango, attraversiamo una strada con case, persone, e maiali che girano indisturbati.

 

La moglie del capo villaggio ci accompagna in una radura e ci invita a prendere posto su sottili sedute fatte con canne di bambù.

 

Tra la vegetazione si intravedono delle ombre: i Mud Men appaiono con movimenti lievi, felini.

 

 

Sono nudi, con il corpo imbrattato di fango, un perizoma e fresche foglie di banano, unico ornamento vivo.

 

La maschera è grande, di pesante terracotta, brutta, anzi orrenda, perché deve incutere paura al nemico. I movimenti minacciosi, con archi e lance, simulano la battaglia, o meglio, la difesa. In realtà rievocano una fase della vita dei loro avi, il cui villaggio è stato assalito da una tribù nemica. Molti sono stati uccisi. I sopravvissuti sono scappati e si sono nascosti nelle acque fangose. Imbrattati dal fango, che, asciugandosi,  aveva assunto un colore biancastro, che qui è simbolo di morte, decisero di tornare, di notte, nel villaggio. Gli invasori, scambiandoli per fantasmi o spiriti dei morti, si spaventarono e lasciarono immediatamente il villaggio.

Un asaro  ci mostrerà come appiccare il fuoco

 

 

Anche Gurupoka Village, fa parte del gruppo degli Asaro. Qui la storia cambia: la passeggiata che si inerpica sulla collina, mostra alcune cavità, dove, nella seconda guerra mondiale, gli americani si appostavano per sparare ai giapponesi. Arrivati in cima, il paesaggio è meraviglioso : una vallata spettacolare con le montagne da contorno.

 

 

 

 

Davanti alla caverna, il rito prevede di raccogliere delle foglie: con un rituale verbale, si chiede il permesso agli spiriti della montagna. Le foglie rappresentano la chiave d’entrata. L’uomo della caverna ci attende, per ricordarci che, dentro queste rocce,  la gente viveva, cresceva, moriva.

 

 

Ritornati alla base, assisteremo al ballo della tribù degli Himakupo, una danza piuttosto ridicola, con uomini dal corpo dipinto a strisce bianche ed una buffa maschera. La « moko moko dance » è semplicemente il veloce movimento dell’astuccio penico, che simula l’atto sessuale.  Suoni gutturali gridano « moko moko, sesso sesso ».

 

 


Nella cultura tradizionale, dopo aver vinto contro un nemico in una battaglia, gli uomini tornavano a casa, cantando  una canzone per chiamare le mogli al “moko moko”, per celebrare la vittoria facendo sesso. Lo stesso rito si usava  quando la popolazione della tribù stava diminuendo, quindi per ricordare l’importanza di fare sesso per fare più figli.

Riprendiamo la spettacolare strada, nel cuore primitivo di quest’isola selvaggia, che attraversa la più interessante regione del Niugini per bellezza naturale e folklore, e continua a riportarci molto indietro nel tempo.

 

La via per Mindima, che si inerpica e scende dalle montagne, è tutta un cantiere: i cinesi stanno costruendo la strada.  Siamo a bordo di un PMV, un autobus locale, l’unico ordinato e rispettoso delle regole. La gente qui si sposta come capita. Nelle fermate, si osservano i mercati locali, tutti simili, con i  prodotti locali freschi, in esposizione.

 

 

 

 

 

 

Pochi i negozi, costruzioni in legno e lamiera, con una piccola finestra, dalla quale si ordinano i prodotti (caffè, scatole pomodoro o tonno, dado granulare, ma soprattutto birre). Evidentemente le griglie ricordano che la sicurezza non è garantita.

 

Soprattutto il sabato, quando sarà anche impossibile trovare degli alcolici perché, essendo il venerdì giorno di paga, gli uomini si ubriacano tutta la notte.

Nella provincia di Chimbu si trovano molte tribù.

Una delle più interessanti è sicuramente quella degli Skeleton Men.

La precisione con cui vengono dipinti i corpi è incredibile: sulla pelle appaiono i tratti di uno scheletro umano bianco e nero. Le parti intime sono coperte da perizomi di conchiglie e reti.

 

 

L’Omo Masalai è la rappresentazione degli uomini scheletro, una vera pièce teatrale, all’aperto, divisa in più atti, che tramanda le leggende di una delle tribù più straordinarie del paese. Gli scheletri rappresentano gli esseri dell’oltretomba all’inseguimento dello spirito del male, che è raffigurato come un essere mostruoso, simile ad un gorilla gigante, ricoperto di ricci e con una lunghissima coda. I grandi artigli incutono ancora più paura.

Tutto inizia durante una battuta di caccia, quando il mostro rapisce il figlio del capo tribù e lo uccide.

Lo sciamano, chiamato dai genitori, riesce a riportarlo in vita. Rincorso dal mostro, sale su un albero: da qui getterà al mostro gli amuleti, che renderanno lo spirito cattivo ancora più potente.

 

Successivamente lo spirito cattivo rapisce un bambino, mentre la madre è distratta dai lavori domestici. Alle urla della mamma accorrono tutti gli abitanti del villaggio che, uniti,  riescono  finalmente a catturare il mostro e lo uccidono.


Ma ho anche letto un’altra storia, raccontata da un sedicente signore del luogo, su come siano nati gli Skeleton Men: circa centocinquanta anni fa un mostro uccise i suoi trisavoli , che stavano lavorando nei campi. Gli abitanti del paese decidono di andare a vedere la grotta dove abitava il mostro (mentre il mostro era in giro per la campagna), e vedono delle ossa umane, sparse ovunque. Per spaventarlo, dipingono i corpi  come scheletri e si mimetizzano con le ossa. Ecco che quando il mostro entra nella grotta, viene circondato ed ucciso.

Non importa quale sia la storia vera, in ogni caso, l’happy ending è garantito. 

 

 

 

 

 

 


Questa tribù ci mostrerà come appiccare il fuoco e ci spiegherà l’importanza del fuoco stesso. La lunga giornata lontani da casa, a caccia o nel lavoro dei campi, necessita di organizzazione.

 

 

Ecco che il capo famiglia porterà sulla testa un fuoco, sempre acceso, pronto a cuocere il cibo trovato per strada (larve, insetti, cavallette o quant’altro offra la natura ).

 

La provincia di Chimbu è straordinaria, perché ti ritrovi improvvisamente in un libro di fiabe. Non serve una grande narrazione, basterebbero le fotografie che celebrano una natura straordinariamente vivace, di un bel  verde intenso  ed il poderoso ruscello che borbotta davanti ad una casetta, costruita con i semplici materiali della giungla. Una vera oasi di pace, dove sembra che il mondo si sia fermato. Un paradiso terrestre, senza telefono, luce e televisione.

 

Trascorrere il ferragosto qui è stato come assaporare un mondo che sembrava estinto.

Ma il mondo delle fiabe ha sempre degli eroi, è così sono i Bogo. Ecco le orgogliose donne del villaggio, con il costume della tradizione, che camminano per il villaggio. Tutto ciò che indossano è un regalo della natura: dalle collane fatte con semi e conchiglie, alle pelli di animali, alle foglie del banano, al muschio, ecc.

 

 

 

 

Abbiamo trascorso qui alcuni giorni, ancora una volta unici turisti, unici bianchi.

È facile integrarsi con la popolazione locale: passeggiando, si incontrano centinaia di persone, curiose e felici di scambiare anche solo un sorriso.
Gli incontri più dolci sono quelli con gli studenti, nella loro dignitosa divisa verde, oppure le donne, ma anche gli uomini sono molto gentili.

 

A volte le risposte sono disarmanti: il proprietario del nostro piccolo lodge è deceduto l’anno scorso. Sono rimaste le due mogli ed undici figli. Rose è la terza ed ha sedici anni. Il nostro dialogo è il seguente: « mio padre è morto l’anno scorso ». « perché è morto? ». « Non lo so, era vecchio, aveva male allo stomaco ». « Quanti anni aveva? ». « 63, fumava tanto e masticava il betel, aveva mal di stomaco, ma era molto vecchio! ». Le chiedo: « secondo te quanti anni ha mio marito? ». Lei lo osserva e poi risponde: « 40 o forse 35! ». Ed io: « no, ne ha 63! ». Sgrana gli occhi e sorride.

La splendida passeggiata giornaliera, mi permetterà anche di fare un incontro straordinario, con un bellissimo canguro degli alberi.

 

 

 

 

La scuola è pulita ed ordinata. Gli insegnanti sono in camicia e cravatta.

 


Il preside ci riceve nel suo ufficio e, dopo una piacevole conversazione, andrà a suonare la campana di fine lezione, e poi, tutti pronti,  per salutare i tre stranieri venuti da lontano.

Poi due infermiere ci faranno visitare il loro “pronto soccorso”: il lettino dove la puerpera ha partorito, la bilancia per pesare i neonati e la stanza dove vengono ricoverati i malati.

Nel paese, la gente muore  di polmonite, tubercolosi e aids. Certamente qui è tutto precario, però, francamente le tre dita di polvere ovunque potrebbero essere spazzate via, ma qui, come nella maggior parte dei paesi poveri, la gente la sporcizia non la vede. D’altra parte, in PNG le persone si lavano molto raramente, anche quando, come qui, hanno uno  splendido fiume dalle acque cristalline, proprio davanti a casa.

 

Poi abbiamo la fortuna di assistere ad un loro sing sing, la festa tradizionale locale, con canti e balli. Il villaggio diventa il set di un film e noi tre siamo i soli registi, che seguono e filmano gli spostamenti di un cast che recita senza copione, con la meravigliosa spontaneità della vita quotidiana. Un’altra narrazione  che ci fa catapultare nuovamente nella preistoria.

 

 

 

 

 


Dopo aver visitato alcuni luoghi del villaggio, mentre stiamo tornando  nella nostra casetta sul fiume, siamo invitati a partecipare alle attività del giorno: raccogliere le banane,

 

 

lavorare nei campi,


accendere il fuoco,

 

costruire il tetto della casa,

 

preparare il mumu.

 

 

Come direbbe un amico: Un’altra giornata di gioia perché….eroica è la vita!

A meno di cinquanta chilometri da Mount Hagen, ci fermiamo due notti in un altro villaggio, chiamato Koskala, dove vive la tribù dei Sekaka.  La strada è dissestata, ma panoramica. 

 

 

Apparentemente sembra un tranquillo villaggio di campagna, le persone hanno vestiti normali, ma in realtà vivono, anche loro, una vita lontana dalle nostre abitudini. Non c’è luce, non c’è acqua corrente. Si va al fiume o, in alcuni casi, grandi vasche raccolgono l’acqua piovana. Padre Joseph (un prete cattolico, scomunicato alcuni anni fa, perché ha partecipato a manifestazioni contro il governo) ci accompagna nella sua comunità. Quasi tutti sono contadini, e gli orti sono splendidi: zucche, zucchini, riso, cavoli, fagioli, mais, arachidi, e, naturalmente, tantissima frutta (banane, papaya ed i meravigliosi frutti dello zucchero, sugar fruit, una sorta di frutto della passione, molto più grande e dolcissimo, uno dei frutti più buoni che abbia mai mangiato in vita mia).

 

 

 

Le terre qui sono generose, e la vita sembra quasi essere perfetta, anche se in realtà chi vive qui non ha molte alternative.

Il paese è pieno di chiese,  tutti i rami della cristianità sono rappresentati, ma in realtà lo sciamanesimo continua ad essere praticato ovunque: così le pozioni d’amore vanno di pari passo al malocchio. Una donna ci racconta che il marito possedeva due grandi terreni ed i vicini, per invidia, gli hanno fatto il malocchio: ha avuto dolori per alcuni giorni. Fortunatamente uno sciamano è riuscito a togliergli il malocchio. 

La scuola è frequentata da oltre cinquecento bambini, felici di incontrarci, con i loro maestri.

 

 

Questa è la campana che apre l’inizio e chiude la fine delle lezioni, e,

 

 

 

dietro, c’è la scuola.  Sembra tutto perfetto, fino a quando, tornando nel lodge di Padre Joseph, incontreremo un ragazzino di nove anni. « cosa fai qui? Perché non sei a scuola? ». « non mi fanno entrare a scuola, perché non ho i soldi per comprarmi il libro! ». No comment! 

Alcuni bambini improvvisano un piccolo sing sing locale

 

 

E poi ci salutano, con il viso un po’ malinconico

 

 

 

Un altro bel capitolo si chiude, ma la mia lunga permanenza nella PNG non è finita. Ho deciso di lasciare l’ultimo capitolo, la Quarta Parte, al Festival di Mount Hagen, uno spettacolo unico: qui le tribù si ritrovano una volta all’anno per due giorni. Vi aspetto, tra i mille colori e l’esplosione della fantasia, sempre con un occhio al passato remoto.

Qualche foto “teatrale” degli attori del mio racconto

 

 

 

 

 

 

4 risposte

    1. Merci beaucoup Chantal! C’est vraiment un endroit unique, si loin de notre culture, mais tellement intéressant et extraordinaire et surtout authentique

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