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India 🇮🇳 Rajasthan (P. 1) Bikaner e Jaisalmer

 

Il treno notturno scivola lento nel cuore del Rajasthan.


 

 

Fuori dal finestrino il paesaggio si fa sempre più arido: dune basse, capre che si radunano attorno a pozze d’acqua, villaggi di fango e paglia che sembrano disegnati dal vento. Quando finalmente appaiono le mura di Bikaner, non c’è la scenografia spettacolare di Jaisalmer o la fama turistica di Jaipur. Qui il deserto non accarezza: graffia. E Bikaner gli risponde con il colore duro della pietra rossa e la fierezza di chi non si è mai arreso. Il primo impatto è con il Forte Junagarh, un colosso che si alza nella pianura come una cittadella.

 

A differenza di altri forti del Rajasthan, non domina dall’alto di una collina: resta piantato a terra, saldo, come se volesse sfidare le tempeste di sabbia. Dentro, un intrico di cortili e stanze svela affreschi, specchi intarsiati, soffitti dorati . Ogni sala racconta di maharaja e battaglie vinte, ma anche della capacità di Bikaner di resistere, stretta tra rotte commerciali ed invasioni.

 

 

 


Uscendo dal forte, la città vecchia ti accoglie con il suo caos irresistibile. Le stradine pulsano di vita: carretti di frutta, vacche sonnolente, negozi di dolci immersi nel profumo di ghee e del cardamomo e venditori di succo di canna da zucchero. 

 

 

 

un banchetto  all’aperto che vende dentiere

 


Qui ogni muro è un racconto. Soprattutto quando, tra i vicoli polverosi, all’improvviso le case si trasformano in palazzi. Le Haveli, le grandi dimore signorili costruite tra il XVIII e il XIX secolo, dai ricchi mercanti Marwari, si alzano come scrigni scolpiti, facciate di arenaria rossa e gialla, che brillano al sole del Rajasthan. Tra le dimore dei mercanti, uomini che fecero fortuna sulle rotte carovaniere e che vollero lasciare il segno affidandosi alla pietra , spicca la Rampuria Haveli: balconi finemente intagliati, finestre che somigliano a merletti, cortili interni pensati per custodire intimità e ricchezza. Oggi molte stanze sono vuote, ma, camminando davanti alle loro facciate, si ha la sensazione che le pareti custodiscano ancora voci di mercanti, profumo di spezie e il rumore dei cammelli al ritorno dal deserto

 

 

 

Tra le vie della città che odorano di spezie, i bambini ti rincorrono con un sorriso curioso, i venditori chiamano mostrando la loro mercanzia e intanto i cammelli passano lenti , come se il tempo non avesse alcuna urgenza.

 

Eppure, tra il caos delle strade ed il brusio dei mercati, ho trovato due luoghi che sembrano sospesi nel tempo: il Bhandasar Jain Temple e l’Hotel Bhairon Villas.

La religione jainista è una delle più antiche tradizioni spirituali dell’India, coeva all’induismo e al buddhismo. Pur non essendo una religione di massa (circa 5 milioni di persone), ha lasciato un’impronta profonda nella cultura indiana, soprattutto per la sua filosofia di non-violenza  (ahimsa). Questo principio assoluto si estende a ogni forma di vita, inclusi insetti e microorganismi. Altri principi fondamentali sono il “non-attaccamento” (vivere con sobrietà, evitando desideri eccessivi e possesso) e la “pluralità della verità” (la realtà è complessa e non può essere compresa da un solo punto di vista). Seguono una dieta vegetariana strettissima e molti asceti praticano la rinuncia estrema, fino a non usare mezzi di trasporto per non danneggiare alcuna creatura. I templi jainisti sono celebri per la loro bellezza architettonica e decorativa. Il tempio di Bhandasar ne è un esempio: la leggenda vuole che le fondamenta non siano state cementate con acqua, ma con ghee, il burro chiarificato che qui in India e’ quasi sacro.

 

 


I pilastri scolpiti raccontano storie antiche, i soffitti dipinti brillano di rosso, verde e oro, e ogni angolo sembra un invito a fermarsi e osservare, condividendo attimi con fedeli felici di conoscere turisti di passaggio. 

 

Dentro non c’è mai silenzio vuoto.

È un silenzio che respira, che accompagna i passi lenti, che spinge gli occhi a cercare il cielo.

 

 

Fuori, un fedele ci mostra con orgoglio i suoi baffi, mai tagliati


 

 

A due passi dal possente Junagarh Fort, si nasconde un palazzo che sembra uscito da un sogno dimenticato, il Bhairon Vilas. Non è solo un Hotel qualunque, ma un’antica residenza nobiliare del XIX secolo, dove ogni stanza profuma di storie e di tempo che non passa.

 

Appena varcata la soglia, lo sguardo si perde tra cortili interni, pareti affrescate, lampadari che pendono come ricordi sospesi, e mobili che portano i segni discreti di vite trascorse. Camminando nei corridoi silenziosi, si ha la sensazione di essere ospiti più che clienti, accolti tra i segreti di un Haveli che ha conosciuto maharaja e deserti, danze e solitudini.

 

 

 

Fuori, la città ruggisce con i suoi tuk-tuk, le spezie, i mercati affollati: dentro, il tempo scivola lento. C’è un piccolo giardino, una piscina che riflette i colori del cielo del Rajasthan, e terrazze dove la sera il vento caldo porta con sé il canto lontano delle preghiere.

 

Dormire qui è un’immersione in un passato eroico: ho molto amato questo Hotel.

 

A pochi chilometri da Bikaner, nel villaggio di Deshnok, si trova uno dei luoghi più incredibili di tutta l’India: il Karni Mata Temple, conosciuto come il Tempio dei Topi. Migliaia di roditori vivono liberi all’interno, nutriti e venerati come incarnazioni sacre.

 


Entrarci è un’esperienza che va oltre l’esotico: è un confronto diretto con una spiritualità che sfida totalmente la logica occidentale: cammini scalzo, come in ogni tempio, osservando corpi minuscoli che corrono veloci tra le sbarre di marmo. All’inizio è inquietante, poi lentamente ti sorprende un senso di rispetto. C’è qualcosa di potente nel modo in cui questa comunità custodisce con devozione un culto così fragile e incompreso.  I Kabbas, i roditori sacri che abitano il santuario,  sono anime reincarnate dei devoti di Karni Mata, la mistica del XV secolo venerata come incarnazione della dea Durga. Il figliastro di Karni Mata, Laxman, morì annegato in uno stagno chiamato Kapil Sarovar. Disperata, Karni Mata pregò Yama, il Dio della morte, affinché lo restituisse alla vita. Yama acconsentì, ma pose come condizione che tutti i figli maschi di Karni Mata (ed i suoi seguaci) sarebbero stati reincarnati come topi fino a quando non sarebbero tornati come umani. Per questo motivo, i topi che vivono nel tempio sono considerati incarnazioni dei devoti deceduti. Alcuni topi bianchi sono considerati particolarmente sacri (si pensa che siano reincarnazioni della dea stessa o dei suoi familiari) e se ne vedi uno porta fortuna. Il tempio è gestito da sacerdoti della Comunità Charan, ma sono i fedeli con le loro offerte a contribuire al buon andamento della grande comunità (si stima che nel tempio vivano tra 20000 e 25000 topi), offrendo cibo, latte e dolci ai topi. Entra con un respiro lungo, ribalta ogni prospettiva occidentale, apri totalmente la mente e partecipa al rituale, di topi che ti attraversano il piede, seguendo le donne in sari color rosso e zafferano, che offrono dolciumi condivisi anche dai roditori e uomini che accarezzano con devozione i ciuffi di peli scuri. Non è facile, perché il tempio non è solo un luogo di culto, è un atto collettivo di rovesciamento culturale: ciò che è impuro si trasforma in sacro. E quindi l’esperienza diventa un’immersione profonda nella cultura e spiritualità indiana. Quello che mi ha colpito di più? Alcuni ragazzi, e donne, profondamente devoti, che mi hanno ringraziata per essere entrata nel loro tempio sacro.


 

 

Il treno riparte, con il suo carico di umanità. Noi, una manciata di turisti, che si mischiano alla numerosa comunità indiana che usa il treno come principale spostamento, destiamo curiosità. La lingua è una barriera, perché qui pochi parlano inglese, ma i sorrisi, come sempre, spalancano portoni!   

 

 

 

 

Il deserto del Thar non perdona. E’ vasto, in gran parte arido anche quando la stagione dei monsoni non è ancora totalmente finita.

Eppure, in mezzo a quella distesa di sabbia e vento, appare Jaisalmer: un miraggio trasformato in città. Da lontano sembra una scultura nella pietra dorata, che al tramonto diventa fiamma.

 


Da vicino e’ un labirinto di strade vive, bazar odorosi di spezie e fortezze che resistono da secoli.

 

 

Diverso dagli altri forti del Rajasthan, il Forte di Jaisalmer non è solo un monumento da visitare: è un organismo vivo. Ed è Patrimonio UNESCO. Dentro le sue mura abitano ancora migliaia di persone, tra case, botteghe, tempi giainisti e Guesthouse che si affacciano su cortili nascosti. Camminare tra le sue stradine significa condividere lo spazio con artigiani che intagliano la pietra gialla e mucche che riposano davanti alle porte.

All’interno del forte c’è un complesso di 7 templi giainisti, tutti collegati tra loro, in arenaria ocra. Costruzioni del XV e XVI secolo con decorazioni spettacolari. Se entrate, non dovete avere oggetti in pelle (scarpe, borse cinture), e naturalmente niente cibo e bevande.

 


Dalle terrazze si allunga lo sguardo su una città dal ritmo
freneticamente lento .

 

 

 

 

 

 


Fuori dal forte, la città custodisce i suoi gioielli più silenziosi: le Haveli, antiche dimore signorili, costruite dai ricchi mercanti . Ogni balcone è un intreccio di arabeschi, ogni finestra sembra raccontare di una ricchezza passata che ancora abbaglia. Passeggiare in questi cortili è come leggere una fiaba senza tempo: pietra che diventa tessuto, architettura che si fa poesia.

Le facciate delle Haveli hanno motivi floreali, animali, uccelli: merletti di arenaria color miele di immane bellezza.

 

 

 

 

 

 

 

Jaisalmer non è una città da consumare in fretta. È un luogo che chiede lentezza. Al mattino, quando la luce accende di oro ogni pietra, il forte sembra fluttuare. Al pomeriggio, quando il sole cala e la sabbia si tinge di arancio e rosso, ogni strada si trasforma in quadro.

Il cuore di Jaisalmer pulsa nei bazar. Tra tessuti color zafferano e turchesi, turbanti arrotolati come serpenti e gioielli d’argento battuto, la città mostra il suo volto più vivace. Qui non sei turista, sei parte di una trattativa che è quasi danza: sorrisi, gesti rapidi, parole che si intrecciano.

Una passeggiata nella storia incantata.


 

 

Tra mucche serene

Donne che pregano davanti all’uscio di casa

E artisti  di ogni genere.

I suonatori

 

I creativi

 

Ogni angolo è poesia ed ogni incontro magia

 

 

 


 

 

 

La città d’oro che emerge dal deserto, offre scorci incantati anche  dalle terrazze delle Guesthouse e dai ristoranti della “cittadella”

 

 

A pochi chilometri dalla città, il Gadisar Lake è un lago artificiale con piccole isole di pietra di ghat. Qui la famiglia reale trascorreva il suo tempo a contemplare i temporali monsonici sul lago . Oggi si può anche fare un giro su piccole barchette a remi.

Da visitare in diverse ore del giorno.

 

 

E poi c’è il deserto, vera anima di Jaisalmer.

Il Thar non è un deserto da cartolina. Non ha le dune infinite del Sahara, né il silenzio glaciale dell’Atacama. È un deserto che respira, che parla, che vive di gente, di suoni, di mercati improvvisati nel nulla. Lo chiamano il Great Indian Desert, ma a differenza di altri deserti del mondo, qui il vuoto è abitato.

La prima parte della strada è un percorso ad ostacoli: greggi di pecore invadono l’asfalto. In questa zona si trovano comunità di pastori e allevatori nomadi o semi-nomadi

 


Lungo la strada si incrociano donne che portano acqua con anfore lucenti sulla testa. Sono coperte da veli e non si lasciano fotografare.


 

Qui il deserto non è solo sabbia, ma anche cespugli secchi, rocce e campi di miglio che punteggiano l’arido.

 



 

Le prime dune compaiono come onde addormentate. Non sono gigantesche, ma la luce del sole le trasforma in colline d’oro vivo.

 

 

Il Thar non è il deserto del silenzio assoluto: è un deserto vissuto, attraversato da mercanti per secoli lungo la via della seta. Ogni duna ha un’eco di storie antiche, ogni villaggio conserva leggende di maharaja e carovane.

Quando il sole cala, la sabbia si tinge di oro e rosso, e il vento porta via ogni pensiero. È in quel momento che il Thar si rivela: non come un vuoto da temere, ma come un luogo pieno di vita invisibile, che ti insegna la lentezza e il rispetto.

La luce delicata sfiora le dune e i cammelli restano silenziosi, con lo stuolo di uccelli che creano una coreografia che sembra studiata.

 

 

 


La notte nel deserto e’ un’esperienza che resta. Il cielo si accende di stelle fitte come non le avevi mai viste, e il fuoco acceso dei pastori illumina canti tradizionali.

Stanotte il mio giaciglio è semplice, disteso sulla sabbia. La notte mi accoglie con le sue storie segrete, mentre il vento si trasforma in coperta leggera, pronta a spazzare via ogni pensiero di troppo. E così, sotto questo cielo immenso, lascio che i sogni arrivino, dolci come le maree. Sweet dreams 😴

 

 


All’alba, il deserto ti regala il suo volto più puro. La luce delicata sfiora le dune e i cammelli masticano in silenzio, pronti a riprendere la via.

 

Ed è ora, anche per me, di ripartire. Un comodo treno mi porterà a Jodhpur, dove continua la mia avventura in Rajasthan. Stay tuned!

 

 

 

 

 

 

 

 

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