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India 🇮🇳 Rajasthan (P.3) Pushkar, Jaipur e Abhaneri

 

Ci sono luoghi che sembrano nati per intrecciare opposti: silenzio e caos, deserto e acqua, sacro e profano. Pushkar è uno di questi. Arrivi da Ajmer, dopo una strada che si arrampica tra le colline Aravalli, e d’improvviso si apre davanti a te un bacino d’acqua che non ti aspetti: il lago sacro di Pushkar, cuore pulsante della città e meta di pellegrinaggi da secoli.

 

 

Attorno al lago si dispiegano più di cinquanta ghat, scalinate che scendono nell’acqua: qui all’alba e al tramonto i pellegrini si immergono in silenzio, ripetono mantra, offrono fiori.

 

Resti lì a guardare e capisci che non sei solo un viaggiatore: sei un testimone discreto di un rituale che si rinnova ogni giorno da centinaia di anni. Peccato non poter fotografare con calma, perché molte persone qui non vogliono essere riprese.

Pushkar custodisce uno dei pochissimi templi dedicati a Brahma, il creatore dell’universo. L’atmosfera è vibrante: campane che suonano, sacerdoti che recitano preghiere, l’odore persistente di incenso. Appena fuori, la città scorre in un ritmo completamente diverso.

 

Le stradine strette sono un caleidoscopio: bancarelle che vendono spezie rosso fuoco e giallo curcuma, botteghe di stoffe che sventolano sari come vele colorate, negozietti di strumenti musicali da cui escono note improvvisate di sitar e tabla. Tra una mucca che si riposa placida e una moto che sfreccia all’improvviso, impari presto a lasciarti trasportare dal flusso, senza opporre resistenza.

 

Eppure, nonostante i colori e la confusione, Pushkar conserva un’anima di quiete. Basta salire su una terrazza in qualsiasi momento, anche se sarebbe meglio al tramonto e guardare il sole calare dietro le colline, con i raggi che incendiano il lago d’oro.

 

C’è qualcosa di sospeso qui: una spiritualità semplice e quotidiana, che non ha bisogno di clamore. Pushkar ti insegna che il sacro può convivere con il mercato, e che anche tra spezie, cammelli e turisti si può trovare un momento di silenzio assoluto.

 


 

 

 

 

Pushkar è al tempo stesso spirituale e bohémien : pellegrini in cerca di purificazione convivono con viaggiatori che studiano yoga o suonano musica nei caffè. È questa mescolanza a renderla indimenticabile.

 

 

 

 

Molti viaggiatori passano a Pushkar solo per un giorno, ma chi si ferma qualche notte in più scopre il suo lato segreto: le lezioni di yoga sui tetti, i falò con musica dal vivo nelle guesthouse, i tramonti che non si assomigliano mai. È una città che si rivela piano, come uno specchio d’acqua che riflette sempre un volto diverso.

Allora immagina di arrivare a Pushkar al mattino presto, quando il sole ancora gioca a specchiarsi tra le acque del lago sacro. L’aria profuma di incenso e polvere, le campane dei templi vibrano nel silenzio interrotto dai richiami dei venditori di fiori.

E poi li vedi: uomini vestiti d’arancio vivo, come fiammelle che camminano lente tra i ghat. Alcuni sono pellegrini scalzi, con gli occhi lucidi di fede, altri sono sadhu  dalla barba lunga e i capelli raccolti in turbanti disordinati, custodi di antiche preghiere. Il loro colore non è solo tessuto: è fuoco, rinuncia, promessa. È il segno di chi ha deciso di bruciare l’ego per farsi luce.

 

Ti siedi un attimo e osservi. L’arancio si riflette nell’acqua, mescolandosi al blu del cielo e al bianco delle cupole: un quadro che sembra dipinto da secoli. E capisci che, a Pushkar, la spiritualità non si cerca, ti avvolge semplicemente come un canto senza parole.

Pellegrini carismatici, avvolti nella kurta (camicia lunga), di cotone bianco e turbanti colorati (pagri o safa), che sono parte importante della cultura e dell’identità maschile in quella regione. I turbanti, con i loro motivi e colori vivaci, spesso indicano provenienza, casta, occasione sociale o semplicemente gusto personale.

 

E poi le donne,  drappeggiate in sari vividi come fiori nel deserto – rossi ardenti, aranci luminosi, verdi smeraldo – camminano fiere tra i vicoli polverosi e i ghat che circondano il lago sacro. I loro sguardi raccontano storie antiche, di fede, di resilienza e di appartenenza a questa città sospesa tra spiritualità e mercato.

 

 

 

Nel cuore del Rajasthan, quando il sole cala e il deserto si colora d’oro, i cammelli diventano i veri protagonisti di Pushkar. Con i loro passi lenti e solenni, sembrano scandire il tempo antico soprattutto durante la fiera più famosa d’India(La Fiera dei Cammelli di Pushkar si tiene ogni anno intorno alla luna piena di Kartik, che nel calendario lunare hindu corrisponde grossomodo a fine ottobre / inizio novembre).  Alcuni cammelli sono semplici compagni di viaggio, altri trasformati in opere d’arte viventi: ornati di specchietti, campanelli e ricami sgargianti che brillano alla luce del giorno.

 

 

 

E poi, al tramonto, quando il clamore del sole si attenua, i cammelli si radunano in silenzio sulla sabbia, sagome scure contro il cielo infuocato. In quel momento Pushkar si trasforma in una poesia nomade, scritta sulle dune dal passo paziente di questi giganti gentili.

 

e si riparte

 

 

C’è un momento, entrando a Jaipur, in cui lo sguardo si perde tra il rosa delle facciate e il brusio incessante delle strade. La chiamano “Pink City”, ma il suo colore non è un vezzo estetico: è il simbolo di un’accoglienza antica, voluta nel XIX secolo per onorare la visita del principe di Galles. Fondata nel 1727 dal maharaja Jai Singh II, oggi quel rosa, che in realtà è più vicino a un terracotta caldo, racconta una città che vive di contrasti, sospesa tra il fasto dei maharaja e il caos creativo dell’India contemporanea.

Le porte monumentali introducono al cuore di Jaipur: un labirinto di bazar in cui il tempo sembra non esistere.

 


Johari Bazaar scintilla di gioielli e pietre preziose, Bapu Bazaar esplode di tessuti, sari e sandali in pelle, Tripolia profuma di spezie. In realtà ho trovato questi mercati meno interessanti di altre città: tantissima  paccottiglia che distrae un compratore che cerca qualcosa di autentico. Qui cammini tra carretti carichi di fiori, mucche placide che attraversano la strada e risciò che sfrecciano senza tregua e altre stravaganze. Tutto è movimento, tutto è colore.


 

 

Jaipur è un caotico teatro all’aperto.

In mezzo a questo fermento, appare improvvisamente la silhouette del Hawa Mahal, il Palazzo dei Venti: una facciata traforata come un merletto di pietra, centinaia di finestre minuscole da cui le donne di corte osservavano la vita della città senza essere viste.  È uno dei luoghi più fotografati dell’India, ma dal vivo conserva un’aura silenziosa, quasi fragile.   Per me la magia del Hawa Mahal sta nel mutare con la luce: al mattino si accende di dolcezza, a mezzogiorno brilla di forza, al tramonto si veste di incanto e vibra di poesia. Ogni ora gli regala un volto diverso, eppure sempre straordinario.

 

Bellissima vista da una terrazza di fronte.

 

 

Il City Palace, ancora oggi residenza reale, è un viaggio dentro i fasti dei sovrani: cortili ampi come piazze, sale decorate con specchi e mosaici, costumi cerimoniali, armi cesellate, architetture che sembrano un dialogo tra Rajput e Mughal. Qui si comprende quanto Jaipur non sia solo città, ma capitale di un regno che volle coniugare scienza, arte e potere.

A pochi chilometri, l’Amber Fort domina le colline. Le mura si allungano come un drago di pietra, le sale di specchi moltiplicano la luce delle lampade a olio, e dai bastioni lo sguardo corre fino al deserto.

 


Sulla strada si incontrano elefanti e cammelli : ho letto che l’uso di elefanti e cammelli per il turismo ad Amber Fort non è considerato etico secondo gli standard moderni di benessere animale.

Il Jal Mahal (“Palazzo dell’Acqua”) è un elegante palazzo situato nel mezzo del lago Man Sagar a Jaipur, Rajasthan. Costruito nel XVII secolo, unisce stili architettonici Rajput e Mughal. È un edificio a cinque piani, di cui quattro sono sommersi dall’acqua quando il lago è pieno, lasciando visibile solo il piano superiore con chhatri angolari e terrazza giardino (La parola chhatri in hindi significa letteralmente “ombrello” o “tetto a cupola”, e infatti li puoi riconoscere subito dal loro tetto a cupola sopra colonne sottili, che ricorda proprio un piccolo ombrello sopra un padiglione aperto.)!Il palazzo non è visitabile internamente, ma è ammirabile dalle sponde del lago o da punti panoramici vicini, come il Nahargarh Fort.

 

 

 

Jaipur non è solo palazzi e fortezze: è anche il luogo dove il maharaja Jai Singh II costruì uno degli osservatori astronomici più grandi al mondo. Jantar Mantar è una serie di strumenti giganteschi in pietra, usati per misurare il tempo, predire eclissi e osservare il cielo. Camminare tra queste forme geometriche ti fa sentire piccolo davanti alla grandezza del cosmo.

È un luogo che unisce poesia e matematica, ricordando che l’India non è solo spiritualità ma anche ricerca e conoscenza.

 

La città rosa non vive solo nei monumenti. Vive nei chai bollenti serviti ai bordi della strada, nei mercanti che contrattano con voce alta, nei templi, sparsi ovunque, dove si incrociano uomini e donne in momenti di raccolta spirituale

 


 

Il mattino è il momento migliore per visitare le bellezze di Jaipur, che  è patrimonio UNESCO.

Alle 09h30 mi trovo sola al Gatore Ki Chhatriyan, nota anche come Royal Gaitor, un complesso storico situato nei pressi di Brahmpuri, ai piedi del forte di Nahargarh, che rappresenta uno dei luoghi più silenziosi e suggestivi di Jaipur.

È un complesso di monumenti funebri o cenotafi della famiglia reale dei Kachwaha, usati per commemorare i membri deceduti della dinastia. Le tombe commemorative sono costruite in marmo bianco e arenaria (sandstone), con influenze stilistiche miste: elementi Rajput tradizionali, architettura Mughal, decorazioni floreali, bassorilievi, incisioni mitologiche e scene che richiamano il passato militare e la vita di corte.

 

 

 

Un altro luogo interessante è il Panna Meena ka Kund (chiamato anche Panna Meena Baori) . Costruito nel XVI secolo, probabilmente durante il regno del Maharaja Jai Singh di Amer, serviva come serbatoio per raccogliere acqua piovana, risorsa essenziale nelle stagioni secche dell’Arizona climatica del Rajasthan; era anche punto di incontro e luogo sociale per la comunità.

È composto da scalinate su tre lati che scendono verso il livello dell’acqua, disposte in modo zigzag, in uno schema geometrico molto simmetrico.

 

 

 

 

A pochi chilometri dal trambusto del centro di Jaipur, in una valle serena delle colline dell’Aravalli, si nasconde un luogo che sembra sospeso tra il tempo e lo spazio: Galtaji, meglio conosciuto come il Tempio delle Scimmie. Qui, la spiritualità, la natura e la storia si intrecciano in un’armonia sorprendente, trasformando ogni visita in un’esperienza indimenticabile.

Il complesso di Galtaji è un’antica enclave di meditazione. Secondo la leggenda, il santo Galav vi praticava austerità e penitenza, e gli dèi, commossi, donarono al sito una fonte di acqua sacra che alimenta i kunds tutt’oggi. L’attuale struttura, costruita nel XVIII secolo dal cortigiano Rao Kriparam, è un capolavoro di architettura Rajput e Mughal, con cupole eleganti, affreschi colorati e cortili che sembrano fatti di luce rosa all’alba e al tramonto.

Il bacino principale, il Galta Kund, non si prosciuga mai e serve come punto di purificazione per pellegrini che arrivano da tutta l’India. Attorno ai templi, l’acqua riflette le cupole e le chhatri, creando uno spettacolo che cambia con il movimento del sole e delle nuvole.

 

 

Il soprannome “Tempio delle Scimmie” non è casuale. Centinaia di macachi rhesus e languri popolano il sito, correndo agilmente tra templi e cortili. Sono rispettati come esseri sacri: osservare le loro interazioni, talvolta comiche, talvolta solenni, è un’esperienza che ricorda quanto la vita possa coesistere con la devozione. Alcuni visitatori portano frutta per le scimmie, creando un legame spontaneo tra umani e animali che rende Galtaji unico nel suo genere.


Stupende nel loro habitat

 

 


Salendo le scale che conducono al Surya Mandir, il tempio del Sole, la vista sulla città di Jaipur e sulle colline circostanti è mozzafiato. La città appare come un mosaico di tetti rosa e sabbia, incorniciata dalle Aravalli, mentre sotto, l’acqua dei bacini riflette l’immagine dei templi, un gioco di luci e riflessi che sembra dipinto a mano.

Se poi si incontrano guru o sadhu, con cui scambiare qualche parola e molti sorrisi (la lingua non è sempre un ostacolo!), tutto diventa perfetto: loro aggiungono un tocco autentico e spirituale al paesaggio sacro, rendendo la visita più suggestiva e culturale.

Galtaji non è solo un tempio, è un rituale visivo e sensoriale: l’acqua sacra che riflette il cielo, i colori caldi dei templi, il vociare delle scimmie, l’odore di incenso che si mescola alla terra e alle erbe selvatiche. Ogni passo rivela un nuovo dettaglio, ogni angolo sembra raccontare storie di santi, pellegrini e animali sacri.

Qui, a Jaipur, il divino e il naturale si incontrano senza barriere, e chi visita Galtaji porta con sé non solo fotografie, ma un senso profondo di meraviglia e rispetto per la vita in tutte le sue forme.

All’alba, quando la Città Rosa si sveglia piano, i cieli di Jaipur si popolano di mongolfiere colorate.

Ed è con questa immagine che lascio Jaipur, un altra perla del Rajasthan.  Prima di congedarmi dal Rajasthan, c’è ancora un’ultima sosta, lontano dal frastuono delle città e dalle rotte affollate.

A meno di due ore da Jaipur, tra le colline aride del Rajasthan, si nasconde Abhaneri: un pozzo che sfida il tempo, dove storia e arte si intrecciano in un incanto di geometrie, luce e ombra.

Qui il passato si manifesta nei gradini di pietra del Chand Baori, uno dei più grandi stepwell del mondo, che scende come un labirinto verticale verso l’acqua antica. Il Chand Baori e’ un caleidoscopio di pietra, 13 piani, più di 3.500 gradini perfettamente allineati, pareti decorate da bassorilievi che raccontano storie di dei, saghe e antiche leggende. Scendere lentamente lungo questi gradini è come entrare in un’altra dimensione: ogni angolo crea linee e geometrie impossibili, mentre la luce del sole disegna motivi ipnotici sull’acqua sottostante.

Il pozzo non era solo un’opera ingegneristica: era il cuore pulsante del villaggio, un luogo dove l’acqua, la religione e la vita sociale si incontravano. Le donne venivano qui a raccogliere acqua, i saggi a meditare e i bambini a giocare. Oggi, il silenzio dell’antico Chand Baori sembra raccontare la memoria di quelle vite quotidiane, sospese nel tempo.

 

Accanto al pozzo, il tempio Harshat Mata custodisce sculture delicate e intricate, un tributo alla dea della felicità. Nonostante i secoli e l’usura del tempo, le figure scolpite sulle pareti sembrano sorridere ancora, e il tempio mantiene un’aura di sacralità quieta e serena.

 

Oggi sono fortunata: il festival di Abhaneri è iniziato. Due giorni di colori, suoni e profumi antichi, dove i pozzi a gradoni riflettono la gioia e la bellezza della vita, tra canti e danze dal sapore antico.

 

 

Naturalmente, ci sono molti bambini, alcuni con le famiglie

Altri soli, che girano, anche vestiti bene, cone questa bambina.

non appena un turista si avvicina, dice: “Photo, money”

Oppure bambini come questo, truccato

In Rajasthan, come in altre parti dell’India, è comune truccare i bambini con kajal (una specie di eyeliner tradizionale) e talvolta con piccoli puntini neri sul viso. Questo ha diverse motivazioni culturali e tradizionali: 1. Protezione dagli “occhi cattivi”: Si crede che il kajal e i puntini neri possano proteggere i bambini dal malocchio e dalle energie negative. 2. Tradizione estetica: Il kajal è anche considerato decorativo e fa parte delle pratiche culturali legate alla bellezza.  3. Motivi religiosi o spirituali: In alcune famiglie, il trucco può avere significati religiosi o essere parte di rituali di benedizione.

 

Visitare Abhaneri significa scoprire un volto diverso del Rajasthan: lontano dai palazzi scintillanti e dalle città brulicanti, qui resta la forza austera di un’opera che unisce utilità e bellezza, ingegno e spiritualità. È un addio al Rajasthan che non sa di conclusione, ma di memoria destinata a restare.

Per ora vi saluto con questa carrellata di musiche e danze del meraviglioso Rajasthan

 

 

 

 

Ci vediamo ad Agra dove si trova una delle Sette Meraviglie del mondo moderno, il Taj Mahal, un sospiro di marmo che l’amore ha trasformato in eternità.

Stay tuned!

 

 

 

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