Islanda seconda parte

 

Come avete visto nella prima parte, viaggiare in Islanda è tornare all’origine del Mondo, quel tempo  fiabesco, quando era la natura a dominare. Le forze sotterranee dei vulcani, le inarrestabili corse sorridenti di fiumi e cascate,  la presenza di quel vento  che lotta costantemente (ed ha spesso la meglio) contro le nuvole, gli orizzonti aperti, le montagne coperte di soffice muschio che sembra zucchero colorato, ma soprattutto i lunghi silenzi parlanti.

 

 

Il nostro viaggio riprende da un’altro angolo estremamente affascinante dell’Islanda, il lago Myvatn ed i suoi dintorni. Qui si sente la terra sospirare, stiracchiarsi, addormentarsi, giocare, borbottare.

A Dimmuborgir, rocce che assumono le forme di archi, di torri, di coni, creano un’atmosfera da film d’avventura. Elfi e trolls potrebbero uscire da quel labirinto: nella mitologia islandese questo è il luogo che collega il mondo degli uomini con quello degli inferi. I cosiddetti Castelli Neri sono l’incontro dell’acqua con antiche colate laviche,  che ha scatenato la formazione di queste bizzarre strutture rocciose.

 

 

Hverir è facile da trovare. Basta seguire l’odore acre di zolfo ed i romantici segnali di fumo che si alzano verso il cielo. Solfatare dagli strabilianti colori usciti dalla tavolozza di un pittore naif, si mischiano a vere  e proprie vasche rotonde dove la magia sobbolle continuamente con quel rumore persistente da pentola a pressione. La leggenda islandese la chiama la cucina del diavolo, e si dice che la moglie sia sempre intenta a preparare manicaretti per lui. L’aria è intrisa di vapori sulfurei e tutte le tonalità del giallo e del marrone  completano l’opera.


 

 

 

 

E poi si sale verso l’inferno, a Viti (che vuol proprio dire Inferno). Passata la centrale geotermica di Krafla, in grado di produrre 500 GWh di elettricità all’anno, (la più grande in Islanda), poco prima di iniziare la salita al cratere esplosivo, appare, su una piazzola a lato della strada, una strana doccia che sputa acqua caldissima. È diventata un’attrazione, la gente si ferma, scende dall’auto, indossa il costume e si fa la doccia lì, con quel getto d’acqua calda perenne che esce dal terreno in continua ebollizione, sotto un cielo plumbeo e freddo.

 

Molti crateri della zona si sono formati durante l’eruzione del 1961. Viti è un posto davvero strano, con un fondo di acque cerulee: si può addirittura fare il bagno al suo interno, anche se bisogna essere molto fortunati a trovare la giornata con buone condizioni climatiche.

 

Il lago Myvatn è il quarto d’Islanda per estensione, la perla del nord est perché racchiude in uno spazio relativamente contenuto tante meraviglie della natura.

Il lago Myvatn è una creatura nata dalla fusione dei 4 elementi, che giocano, si sfiorano e si sovrappongono, creando una bellezza naturale senza età. L’unica nota dolente in questo posto straordinario è la presenza in estate di milioni e milioni di piccoli moscerini fastidiosissimi che si infilano ovunque. I turisti che frequentano regolarmente questo luogo, viaggiano con cappellini con la retina per proteggersi, ed hanno ragione perché le orribili piccole bestiole si infiltrano ovunque e, anche se non pungono, sono comunque molto fastidiose, al punto che non si può mangiare all’aperto.

I Myvatn Nature Baths sono la sosta relax perfetta dopo una giornata di viaggio, il centro termale dove tuffarsi nell’acqua a 40 gradi. Certo, non è la Blue Lagoon, e’ meno sfarzosa ma anche più intima, meno affollata, ed incredibilmente rilassante.

 


Per gli appassionati del Trono di Spade, una sosta al laghetto sotterraneo termale di acqua bollente, formatosi nella grotta vulcanica a Grjotagja, è d’obbligo.

Prima di lasciare il lago, vi do’ un indirizzo dove trovare una specialità islandese: il gelato di Skutais Farm Ice Cream, un prefabbricato aperto solo dalle 13 alle 18, che serve un eccellente gelato goloso e cremoso, con latte prodotto dalla fattoria adiacente. Dal caramello salato ai locali ribes, un trionfo di sapori!

 

 

Si riparte verso Akureyri, ma prima si puo’ fare una sosta alla “Cascata degli Dei”. Godafoss è così chiamata perché considerata sacra: nei tre getti principali gli antichi abitanti vedevano rappresentata la triade (Odino, Thor e Freyr). La cascata è una meraviglia della natura.

 

 

Akureyri è la città che non dorme mai, così a settentrione, che è detta la città del sole di mezzanotte e anche la capitale del nord.  Qui sorge uno dei capisaldi dell’architettura islandese, la imponente chiesa luterana. Akureyri è il regno di Trolls, quelle folcloristiche creature umanoidi create dalla mitologia scandinava. E poi che dire dei romantici semafori che segnalano di fermarsi con un meraviglioso cuoricino rosso?



E lo shopping locale: colorati maglioni di lana fatti a mano

Andando verso ovest abbiamo deciso di allungare la strada risalendo i fiordi. Mi avevano detto che, anche se non ci sono attrattive particolari, il paesaggio è comunque bello. Io l’ho trovato splendido, con pochi turisti, vallate verdi con fattorie e cavalli liberi, montagne con chiazze di neve che si riflettono nel mare che entra all’interno chiedendo permesso.

 

 

E si arriva a Olafsfiordur , anonimo villaggio, ma con una posizione splendida, tra montagne dipinte di neve che si specchiano nel piccolo porticciolo. 

 

 

 

 

 

poi Siglufiordur, ridente villaggio incastonato tra montagne dove si respira un’aria d’altri tempi, ed un colorato porto 

 


Qui si può visitare il Museo dell’aringa, che mostra che negli anni ‘50’ l’economia del paese era molto fiorente grazie alla pesca e lavorazione ittica. Oltre   3000 persone vivevano qui nell’epoca d’oro: oggi la popolazione è di circa 1200 persone, le aringhe non ci sono più, ma la pesca continua ad essere una delle attività principali, anche se il turismo sta facendo la sua entrata trionfale in questo fiordo che è all’estremo nord.

 

 

 

 


Skagafjörður è famoso per l’allevamento dei cavalli di pura razza islandese, anzi è la regione in Islanda dove ci sono più cavalli che abitanti. Benvenuti nell’Islanda del Far West! Anche qui le leggende non mancano: si dice che le grotte di Skagafiordur siano abitate da mostri marini e da trolls che rubano i bambini!

 

I fiordi sono così, da assaporare lentamente, vivendo le sensazioni dell’attimo, a volte malinconici, a volte magici, mai banali.

 

 

 

A Glaumbaer le casette antiche vichinghe di torba sono state abitate fino agli anni cinquanta.


 

La strada 68 che porta a Holmavik (attenzione è indicata sterrata ma lo è solo per metà e comunque ben battuta) è l’Islanda più selvaggia. Paesaggi immensi, drammatici, anche in estate, con un cielo di un’unica tonalità di grigio sopra un vento gelido.

 

 

Holmavik è un paesino silente, nessuno in giro. Un paio di bar ed uno strano museo delle streghe.

 

E poi ci lasciamo abbracciare da strade che percorrono i fiordi remoti, tra piccolissimi villaggi di pescatori pittoreschi, che diventano sempre più rari salendo dopo Isafjordur.

 

Ma è proprio in questa apparente strada monotona fatta di zigzag tra fiordi che si clonano, che arriva quello che non ti aspetti. Maps.me segnala un’area avvistamento foche.  Rallentiamo, con il tipico pessimismo cosmico da :” non posso essere così fortunata”, quando davanti a noi si apre un mondo. Loro sono lì, paciose, abbarbicate su quelle rocce così vicine. Eleganti nella loro goffaggine. Mamme e cuccioli, pigramente sornioni, con qualche scatto di stizza, forse incuriosite da un odore diverso dal loro. Passerei ore ad osservarle, anche se il tempo non è clemente.

 

 

La strada prosegue verso Isafjordur, quando un altro magico avvistamento ci appare. Una sorta di grande gomitolo dal lungo pelo di grigie tonalità. Un occhio che si apre lentamente guardingo.

Lei è lì, infastidita da chi ha interrotto il suo meritato riposo. Lentamente si alza, lancia uno sguardo di sfida e se ne va, senza nemmeno lasciarci il tempo di ringraziarla per averci degnato di uno sguardo.

Bella,  nel suo portamento quasi regale, scaltra e un po’ altezzosa,  una vera volpe artica.

 

 

Isafjordur, con 2000 anime è la città più grande della penisola ovest, per questo è detta la capitale dei fiordi occidentali. La vita scorre lenta, ed oggi il tempo non è davvero clemente, sarà per questo che non si vede un’anima in giro?

 

La strada per Dynjandi diventa pesante: la pioggia trasforma il paesaggio in un girone dantesco, che passa dall’inferno al purgatorio e viceversa in un brevissimo tempo. 

 

Peccato, i paesaggi sarebbero spettacolari nella loro integrità, ma questi fastidiosi scrosci di acqua e la nebbia in lontananza non lasciano pace.

E sarà così anche la cascata di Dynjandi, una serie di sette salti con un’altezza totale di 100 metri. Vento, pioggia e freddo ci hanno impedito di vedere questo spettacolo della natura da vicino.

 

 

 

Percorriamo la strada che ci porterà alla punta più ad ovest dell’Islanda, tra strade a volte sterrate, paesaggi tortuosi, silenzi immani, una full immersion in quella natura a volte amica a volte ostile, sempre affascinante.

 

 

L’Hotel Flokalundur spunta all’improvviso, dopo una strada parzialmente sterrata dove i sali scendi continui richiedono una certa concentrazione nella guida. Dopo aver aiutato una coppia di ragazzi in panne con la loro auto (certo che sono fortunata a viaggiare con un rallysta ), a cinque minuti di cammino dall’hotel, in mezzo al nulla,  di fronte al mare, ci viene indicata una strepitosa piscinotta naturale con acqua caldissima. Una chicca, in mezzo alle rocce, con vista oceano.


 

 

 

 

 

Arriva anche un pallido sole che incornicia la tortuosa strada panoramica che porta à Latrabjarg. Su una spiaggia, giace un relitto, il battello in acciaio più vecchio d’Islanda.

 

 

 

 

La strada è sterrata fino alla fine, il posto più a occidente dell’Islanda, quello strano luogo dove ripide scogliere di basalto si gettano in un mare impetuoso. Si dice che nelle giornate soleggiate (quando?) si riesca ad intravedere in lontananza la sagoma di quella Groenlandia così misteriosa.

Alla fine della strada un parcheggio. Da lì, una passeggiata porta alle scogliere, alte, tenebrose, incredibilmente ventose. Non sembrerebbe vero che proprio queste scogliere siano abitate da milioni di animaletti.

Il punto più occidentale d’Europa è infatti popolato da colonie di uccelli marini che l’hanno scelta per nidificare in estate. Fulmari, urie, gazze marine, ma soprattutto le pulcinelle di mare (i colorati puffins, detti anche i Clown del mare) svolazzano da un punto all’altro, risalendo il dirupo e infilandosi nelle crepe dopo aver fatto la loro sfilata in abiti di haute couture sul costone, uno dei luoghi che più ho amato, proprio per l’incontro con questi straordinari piccoli eroi.


 

 

La strada del ritorno attraversa il sud della penisola. Arrivati a Brjanslaekur, pensavamo di prendere il traghetto giornaliero che parte alle 18:00 per Stykkishólmur, ma poiché eravamo in anticipo abbiamo deciso di fare tutta la strada, per la pura gioia di attraversare un’altra parte di questa straordinaria isola. La strada è parzialmente sterrata, piccoli fiordi completamente disabitati, mostrano scorci spettrali, sotto un clima spesso rabbioso, ma come sempre è la natura che mostra la sua forza e la sua fragilità.


 

 

La Penisola di Snæfellsnes ci accoglie con una pioggia scrosciante e vento fortissimo. Il paesino di Stykkishólmur è piuttosto anonimo. Una rocca a strapiombo sul porto, qualche negozio ed un supermercato dove chi prende il traghetto per il nord fa rifornimento di viveri. Il vento soffia così forte che sembra sradicare la porta del camper.

 

 

 

 

Una breve deviazione della strada sterrata porta su altri campi di lava

 


 

Spero in un clima più clemente un po’ più avanti, ma è una pia illusione. Dopo il villaggio di Grundarfjordur, c’è uno dei luoghi più fotografati d’Islanda: Kirkjufell, la montagna di 463 metri, più fotogenica del paese, con la dolce cascata che porta il suo stesso nome. Alcune scene importanti del trono di Spade (stagione 6 e 7) sono state  girate qui. Il luogo è straordinario, ma il vento e la pioggia sono cosi possenti che quasi non si riesce a camminare. Saremo costretti a lasciare questo luogo incantato dopo una sosta di 5 minuti: anche il camper barcolla sotto la potenza del vento.

 

Ed il resto del viaggio sarà così, senza tregua. Giancarlo, da bravo pilota, affronterà Eolo, che con i suoi super poteri cercherà di soffiar via il nostro camper, chiamando in aiuto non solo Freyr, Dio della pioggia nella mitologia norrena, ma anche lui, il grande Giove, padre degli dei e anche il massimo Dio della pioggia. Una lotta impari, ma, alla fine, avremo la meglio, anche se purtroppo ad Ytri Tunga, dove le dolci foche trascorrono le loro giornate, sarà davvero impossibile addirittura scendere dall’auto. Malgrado una lunga attesa, speranzosi in una diminuzione della tempesta, siamo costretti a desistere e lasciare il luogo senza aver visto nulla.

Reykjavík è un paese che gioca a fare la capitale. Il suo centro storico intorno alla cattedrale ispirata alle colonne basaltiche è piena di casette colorate basse. Si sveglia tardi, ed è solo nel pomeriggio che le poche vie del centro si riempiono soprattutto di giovani che si distribuiscono sul paio di vie del centro, facendo le vasche  (in senso lato), alla ricerca della socializzazione.

 


 

 

In una fredda sera d’estate Svarta Kaffio ti accoglie come un bozzolo: l’antica casa dalle pareti nere e finestre bianche è un bar-ristorante semplice, dove bere un’ottima birra e gustare le zuppe servite in una pentola fatta di pane. Ci sono due proposte al giorno, una di carne (o pesce) ed una vegetariana. Profumate, bollenti, gustosissime: e si può fare un bis, senza maggiorazione di prezzo. Da bere, rigorosamente la Gull, birra islandese.

 

 

A proposito di cibo, vi racconto un po’ di specialità locali .

La colazione preferita è quella con lo Skyr: io l’ho considerato un pastoso yogurt, ma ho scoperto che in realtà nasce come formaggio ed il vero, tradizionale, viene mischiato a panna. Con l’aggiunta di frutti di bosco è un piatto straordinario, magari da spalmare su fette di pane di segale (qui si chiama rugbraud, e, se riuscite a trovarlo, comprate quello cotto sotto terra vicino a fonti di calore naturale): un pieno di valori nutritivi.

Un piatto che ho molto amato è il Plokkfiskur, un pasticcio di merluzzo e patate lesse, cui vengono aggiunti cipolla, burro e pepe nero: come consistenza, assomiglia al brandacujun ligure ed al baccalà alla vicentina, data la preponderante presenza di merluzzo/stoccafisso/baccalà e patate lesse, anche se ognuno poi ha personalizzato la propria ricetta con l’aggiunta di altri ingredienti.  Lo si compra anche nei supermercati già pronto, sottovuoto, solo da scaldare: divino!

E poi le Fiskibollur, deliziose polpettine di merluzzo e patate, fritte a puntino.

E veniamo ad un piatto davvero particolare. Mi fa piacere che anche Gordom Ramsey l’abbia definito uno dei cibi più disgustosi mai assaggiato, perché anche per noi è stato così. Chi mi conosce sa bene che sono attratta e pronta a gustare qualsiasi tipicità, anche quelle di indubbia provenienza. In questo caso l’Hakarl è davvero per stomaci forti, carne frollata della Groenlandia (abbondante in questi mari), dall’odore acre così forte, che i centri di lavorazione devono essere, per legge, lontano dai centri abitati. L’odore nauseabondo di ammoniaca spiazza, così come il sapore. Lo squalo non ha un sistema urinario quindi le sue carni non sono immediatamente commestibili, anzi sarebbero tossiche perche contaminate dall’acido urico. Ma quei geniali degli islandesi hanno pensato di farlo fermentare in casse di legno sotto terra per sei mesi, il tempo di eliminare le tossine. Dopo questo periodo la carne tagliata viene appesa ad essiccare. L’Hakarl è venduto anche in tutti i supermercati, in confezioni sottovuoto « anti-odore », e si presenta alla degustazione in piccoli cubetti. Superato l’odore di ammoniaca, mi spiace contraddire chi mi aveva detto che il gusto sarebbe stato simile si formaggi erborinati (che apprezzo): in realtà per me fa proprio schifo e basta. Ammiro gli islandesi che lo considerano una leccornia, soprattutto accompagnato dal Brennevin, un forte liquore di patate fermentate. 

Non può mancare uno dei dolci tipici : l’Astarpungar sono frittelle con una delicata pastella. Il nome significa « le palle dell’amante » e per questo è legato ad una storia: un uomo aveva una bellissima moglie che lo tradiva. Quando lui la trovò con l’amante, preso dalla gelosia, uccise il rivale, lo privò dei testicoli, tornò a casa, li cucinò in una dolce pastella facendone delle frittelle e li fece mangiare alla moglie ignara di tutto.

È quasi ora di partire, ma, come detto all’inizio abbiamo deciso di scoprire e lasciare l’Islanda dallo stesso posto. E rieccoci tra le lingue di acqua calda Azzurra che scorrono in mezzo a pareti di lava scura, tra l’immensa piscina termale di Blue Lagoon, un’oasi di naturale bellezza e estasi per il corpo.

Ultime coccole con la maschera depurativa

 

 

E poi ci fermiamo davanti ad un piccolo museo, abbagliati da quel rosa del calar del giorno che sa di felicità

 

 

Qui, dopo ben 3300 chilometri, finisce il mio viaggio al centro della terra, quell’Islanda selvaggia e accogliente al tempo stesso, mistica, paciosa, irruente, solitaria e socievole, spesso lunatica, una donna dal carattere tagliente, una donna che vuole essere coccolata ed amata anche con tutti i suoi difetti, perché in fondo, lei, è assolutamente vera.

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