Central African Republic 🇨🇫

 

L’aereo per Bangui è pieno di uomini, alti, biondi, belli e muscolosi. Sembrerebbe l’inizio di un film dai contorni romantici, una di quelle commedie all’italiana che abbiamo molto amato negli anni ottanta. All’arrivo, il mio bagaglio è stato perso, così come molti altri; il volo dell’Asky air non è mai in orario, con overbooking e più bagagli della capacità della stiva. Inoltre, poiché il volo non è giornaliero, dovrò attendere tre giorni per recuperare il mio trolley. E ci ritroveremo ancora lì, nella sala arrivi del piccolo aeroporto, ad attendere, ore, un aereo  in perenne ritardo. La nostra discussione, in inglese, sarà solo ed esclusivamente di lamentela per una compagnia aerea, non certo low cost, ma che ha il monopolio su questo volo, e quindi fa ciò che vuole. Loro sono molto gentili, uno mi cede la sedia ed un’altro mi offre anche un pezzo di cioccolato: mi sento stupida ad essere timorosa. In fondo, chi sono io per giudicare un mercenario? La Repubblica Centrafricana ha un passato disastroso, un presente tragico ed un futuro decisamente incerto. Tutti ricordiamo il temibile dittatore Jean-Bedel Bokassa, presidente del paese, militare, emulo di Napoleone: nell’incoronazione sfarzosa del 1977 sollevò la corona di oro massiccio tempestata da 5000 diamanti, rigorosamente realizzata a mano da orafi francesi, come tutti gli accessori di corte. Il trono di Mister Bokassa, a forma d’aquila, era un pezzo bronzo dorato di due tonnellate, tempestato di 785000 perle ed un milione di cristalli: certo, in un paese dove le miniere abbondano, sembrerebbe una cosa normale. Peccato che, già allora, la gente moriva di fame ed i 20 milioni di dollari spesi per l’incoronazione svuotarono le casse dello stato. Eppure, credetemi, ho avuto la possibilità di parlare con molte persone locali (sono entrata nel paese con un canale molto privilegiato) e tutti mi hanno detto che rimpiangono Bokassa, e, incredibile, ma vero « si stava molto meglio prima che arrivasse la democrazia ». Di Bokassa a noi rimangono i ricordi delle sue stravaganze, in una dittatura dove le torture creavano ordine. Ed eccolo, il punto di ritorno, la parola “magica” che ricorre ancora oggi tra la gente.

La Repubblica Centrafricana manca di “ordine”, è un paese allo sbando completo, sul filo del rasoio. Non vi voglio tediare con la storia del paese (che potete approfondire, se volete, per conto vostro): oggi la nazione è governata da Faustin-Archang Touadera, dopo una terribile guerra  civile, durata anni, tra le milizie Séléka, una coalizione di gruppi armati musulmani che nel 2013 ha abbattuto il regime del corrotto presidente Francois Bozizé e gli anti-Seleka, cristiani, che hanno commesso entrambi atrocità inenarrabili.  Oggi i mercenari russi sono legati al presidente, essenziali per mantenere l’ordine. Il gruppo di mercenari russi Wagner è stato recentemente definito dagli Stati Uniti un’organizzazione criminale internazionale, la più temuta fabbrica di morte a contratto di Mosca. Ma in realtà, da quando ci sono loro qui, la popolazione si sente molto più protetta.

C’è chi dice che ce ne siano 1100, chi addirittura 3000, dislocati in un paese africano che ha circa sei milioni di abitanti. Provenienti da servizi segreti e forze speciali, i prestanti sovietici sono qui per respingere l’avanzata dei ribelli. Si incrociano ovunque, nelle loro uniformi, a bordo di veicoli militari corazzati. Diciamo che, con alcuni operatori di ONG e Croce Rossa, sono gli unici bianchi che incontrerò in dieci giorni trascorsi nel paese.

Certo, i mercenari proteggono la popolazione locale dai ribelli in cambio di molti soldi, almeno diecimila dollari al mese più un “ics”. (Da notare che siamo in un paese con un PIL pro capite di 461$, il quarto più povero al mondo). Ma cosa succede quando lo stato, sfinito da guerre ataviche e corruzione che svuota le casse, non può più pagare? Nessun problema: loro si prendono il controllo delle miniere d’oro e di diamanti. Ma non solo: ho avuto la fortuna di poter percorrere (con un’auto “protetta” e scorta), la strada che porta al confine con il Camerun. Ebbene, gli unici mezzi incontrati sono stati tantissimi camion che trasportano legname oltre la frontiera: il prezioso ebano che proviene dalla deforestazione. Un altro modo di spolpare un paese di tutto ciò che ha di prezioso, senza minimamente pensare che in quella foresta ancora vivono le anime più belle e dolci che abbia incontrato,i pigmei, sempre più relegati ed indifesi.

E proprio qui, in questa zona di confine, pochi giorni dopo e qualche decina di chilometri oltre il mio passaggio, ci sarà l’ennesimo tentativo di attacco da parte dei ribelli, subito sedato dai sedicenti tovarisch (chissà se questo termine è ancora usato, per definire il “compagno”, nel senso comunista del termine!).

Il turismo qui è inesistente, per motivi di sicurezza e anche perché comunque il paese non fa nulla per incuriosire un viaggiatore.

Sarà un viaggio pesante, perché la maggior parte della gente è inospitale, probabilmente con buone ragioni, essendo sempre stata sfruttata e maltrattata. Sarà difficile fotografare quasi tutto. Vedrete foto prese dall’auto in corsa, con le persone che mostrano il loro sdegno urlando o semplicemente alzando il dito medio.

In tutto il paese le uniche persone che si lasceranno fotografare e con le quali sarà possibile interagire, saranno le cosiddette “minoranze”, coloro che i neri locali disprezzano e trattano da schiavi, i pigmei ed i peul, scappati dai paesi confinanti.

Bangui è una capitale off limit quando scende la sera. Sconsigliato uscire dall’Hotel, tranne se hai il « privilegio » di essere invitato da qualche personalità di spicco e essere scortato da un gruppo armato.

La città è decadente e anche l’hotel dove alloggerò io, l’Oubangui, un ex Sofitel dalla strepitosa posizione panoramica, avrebbe bisogno di un profondo lifting.
l’Hotel era un gioiello, un lussuosissimo buen retiro, che ha ospitato grandi personalità della politica mondiale. Dopo la cessione del gruppo Accor, sono iniziati lavori di restauro, che pare durino da oltre quindici anni. Francamente l’Hotel è disastrato, con stanze vetuste e servizio da una stella (scarsa). L’unica bellezza è la posizione. 

 

 

 

 

A questo proposito l’Hotel si affaccia sul fiume omonimo, che separa la Repubblica Centrafricana dalla Repubblica Democratica del Congo.

 

 

oggi l’esterno dell’hotel viene comunque utilizzato come set fotografico per i matrimoni locali

 

 


Poche bracciate e si arriva in un altro paese, ma bisogna stare attenti: solo alcuni pescatori hanno il diritto di oltrepassare la linea di confine a metà del fiume; se, per distrazione o a causa della forte corrente, la barca viene spinta oltre la frontiera, si rischia grosso.

Dall’Hotel si ha una vista privilegiata. Le piccole piroghe in legno si muovono lentamente. Dure giornate di lavoro, trasportando la manioca, il cibo base del paese.

 

 


Poco più avanti un altro lavoro, molto più duro, coinvolge i giovani: a meno di  duecento metri dalla riva, solo loro possono immergersi in apnea e riempire di sabbia dei grandi secchi che mani forti tireranno sulla piroga. Il secchio è attaccato ad una corda ed è necessario uno strappo muscolare per far risalire la sabbia. La sabbia verrà venduta a circa 3-4$ al metro cubo: questo significa che il guadagno giornaliero è di circa 1,5$, un salario decisamente magro se si considera che occorre andare in apnea 60-70 volte al giorno. Col passare degli anni i “pescatori di sabbia” hanno problemi di udito e perdono progressivamente anche la vista. A questo si aggiungono le “tasse di pedaggio” che, da pochi anni scorrono lungo il fiume. Militari legati a gruppi armati, appaiono all’improvviso ed impongono una “tassa di passaggio”: impossibile scappare davanti a uomini armati.

 

 

A riva, le donne lavano i panni, nello stesso fiume che è l’unica fonte di vita.

 

 

 

I pescatori

 

 

La manioca, il nutrimento per eccellenza, viene fatto asciugare al sole

 

 

La periferia di Bangui è brutta, non si può fotografare, tranne scatti veloci, dall’auto in corsa

 

 

 

 

 

 


La strada per la regione di Lobaye e Sangha-Mbaéré è una pista battuta, di terra che diventa sempre più rossa. I villaggi si susseguono mostrando quella povertà che la siccità incrementa voracemente.

 

 


Anche le mucche che attraversano la strada all’improvviso sono ossute.

 

Lungo la strada si incrociano uomini, che percorrono la strada polverosa a piedi, con in mano un piccolo pannello solare, perché c’è una cosa che unisce tutti i ragazzi dei paesi africani, ovunque tu vada: il cellulare, che pare sia assolutamente indispensabile. Quante volte, in paesi come il Congo, Camerun, Nigeria, o nelle Guinee, tanto per citarne alcuni, mi sono sentita dire: “ehi bianco dammi il tuo cellulare”. Ed è per questo che persino in Hotel, a Bangui, mi è stato detto: “nascondi il cellulare!”, non « nascondi il portafoglio! » 

 

 

 

Tra i villaggi disastrati ne appare uno che francamente non mi sembra abbia nulla di speciale. Ed invece mi viene detto che qui è stata addirittura costruita una pista di atterraggio. Già, perché Berengo è il luogo dove è nato ed è stato sepolto il dittatore Bokassa. Proprio per questo, aveva fatto costruire una pista per poter atterrare direttamente da Parigi. Soldi pubblici, naturalmente, ma, come vi ho detto, la gente qui lo rimpiange, perché manteneva l’ordine ed era una persona molto diretta: mi hanno raccontato che per es. quando  un ministro faceva qualcosa di sbagliato lui il giorno dopo raccontava l’episodio alla radio ed alla televisione, affinché il popolo ne venisse a conoscenza e potesse sbeffeggiare il poveretto. 

È famosa la sua grande amicizia con il Presidente francese Valéry Giscard d’Estaing che veniva qui per andare a caccia.

La terra è sempre più rossa e la strada entra, polverosa, di prepotenza, nella foresta pluviale.

 

 

 

Finalmente si arriva in una radura ben curata, a M’Baiki, dove sorge una sede della chiesa cattolica, strettamente legata alla Diocesi di Bangui.


 

 

subito dopo, all’entrata di un altro villaggio appare uno strano cartello : “non si può fare la cacca al di fuori delle mura domestiche! ”

 

 

 

 

Ancora mezz’ora di auto ed arriviamo ai confini della foresta dove vivono i dolcissimi Baka.

I pigmei sono molto probabilmente la più antica popolazione che abbia abitato le foreste africane. I Baka sono un popolo di cacciatori-raccoglitori, e vivono da sempre nelle foreste della Repubblica Centrafricana, del Camerun, Gabon e Congo. Esperti conoscitori della misteriosa foresta, sono da sempre sfruttati dai neri ed i loro diritti non vengono riconosciuti. In molte zone, come in Camerun, gran parte del loro territorio è stato trasformato in parco per turisti o Safari di caccia, e loro sono stati respinti e relegati in terre sempre più piccole. Qui, ad esempio, sono stati tagliati oltre tremila alberi. Per un popolo abituato a seguire i cicli stagionali ed a muoversi continuamente nella foresta, alla ricerca di cibo, la corsa per la sopravvivenza diventa sempre più ardua. Le altre comunità del paese li considerano piccoli, brutti e poco intelligenti, mentre è evidente un grande ingegno nella ricerca del cibo. Per esempio i Baka vanno a raccogliere direttamente il miele sugli alberi.

Riconoscono l’alveare ben nascosto sull’albero, semplicemente annusando il profumo che arriva dalla corteccia alla base dell’albero. Con l’ascia scavano dei mini gradini nel tronco, per arrampicarsi. Arrivati in alto, infilano il braccio nell’alveare, dopo aver affumicato l’entrata dell’alveare, senza paura, spostando il viso quando le api escono ed il fumo rischia di entrare negli occhi. Perfetti equilibristi, staccano pezzi di favo da mettere nella cesta di rami intrecciati. Il miele è anche parte della merce di scambio per trovare moglie. Il futuro suocero gradirà il miele, le larve (che sono un pasto succulento), una scimmia, magari catturata con un buon uso della balestra, e poi del buon tabacco, tutto questo prima di concedere la figlia in sposa. In realtà è più complicato: il ragazzo Baka « lavorerà » per un po’ per il futuro suocero. Questo periodo si chiama « mokokope » nella lingua dei Baka, ed indica proprio una sorta di « soddisfare le richieste dello suocero » un lavoro non retribuito, ma che serve a farsi accettare in famiglia. Oggi, purtroppo, tutto questo sta lentamente sparendo.

I pigmei conoscono ogni singola specie di vegetale della foresta e si curano con prodotti naturali. Cacciano gli animali del luogo ma solamente per nutrirsi.

Il dolcissimo popolo Baka viene sfruttato da coloro che vivono nella stessa nazione, sono diventati i più poveri tra i poveri, in un paese che dipende quasi esclusivamente dagli aiuti umanitari internazionali. Siamo in un paese dove le grandi ricchezze vengono, tra altro, date in pagamento ai russi (che si proclamano garanti della sicurezza) ed ai cinesi (che si propongono come costruttori di infrastrutture, come strade, ecc.) in primis.

Le popolazioni locali, i neri Bantu, a loro volta, sfruttano i poveri pigmei nelle piantagioni di manioca. I pigmei, con sempre meno spazio su cui muoversi, stanno diventando più stanziali, lasciando la foresta per stabilirsi attorno ai villaggi a servizio di padroni neri.

Dal poco denaro per un duro lavoro, oggi si è passato al bastone-carota. I neri hanno iniziato a pagare i poveri Baka con il vino di palma, quell’orrendo alcool che ha fatto subito presa su un corpo non abituato. Ora il ragazzo lavorerà come uno schiavo, pur di poter avere quel bicchiere di alcool da cui è diventato dipendente. Una tristissima realtà.

 


Ho trascorso una giornata con loro, avrei voluto rimanere lì più a lungo, ma, purtroppo non è possibile per motivi di sicurezza. Il problema non sono loro, i pigmei, che sono felici di scambiare anche solo qualche sorriso, ma i neri che vivono nei villaggi vicini, gli stessi che vedrò tranquillamente seduti a bordo strada, con il cellulare in mano e che mi minacceranno tutte le volte che mi vedranno tirar fuori il telefono. Loro sono i veri aggressori, coloro che mi faranno sempre sentire un’ ospite indesiderata.

 

 

 

 

Mi piange il cuore lasciare questi depositari dei segreti della foresta ancestrale. Uomini e donne che vivono in simbiosi con la natura più selvaggia. La loro vita è tra quelle capanne di frasche intrecciate con grande maestria dalla forma simile agli igloo, ed una vita sociale che si svolge all’aperto, nell’aia di fronte a casa, dove si fa un fuoco non solo per cucinare, ma anche per preparare decotti di piante curativi e per creare quel momento di condivisione, portando avanti quelle tradizioni orali, quelle danze e quei canti polifonici, che sono nella lista immateriale dell’Unesco.

 

Qui i pigmei sono stati « cattolicizzati » dai missionari cristiani, ma hanno comunque anche mantenuto le loro credenze. A questo proposito avrei una lunga storia da raccontarvi, di un incontro che mi ha fatto davvero scoprire e conoscere a fondo questa realtà, ma non ora, perché porterebbe via troppo tempo e perché è una storia emotivamente molto forte e non me la sento ora di renderla pubblica, anche per tutelare la persona che me l’ha raccontata e con cui sono rimasta amica.

La sosta in una vicina scuola è un altro splendido momento di condivisione.

 

 

 

 

Lungo la strada del ritorno il nostro autista si ferma a comperare il vino di palma, che viene prodotto nei villaggi e travasato in bidoni.

 

 

 

 

 

 


Il luogo più turistico della Repubblica Centrafricana sono le cascate di Boali, ad un centinaio di chilometri a nord della capitale. La strada che porta verso il confine nord del Camerun è asfaltata, ed a pagamento. Non aspettatevi un’autostrada europea. Si tratta semplicemente di una strada dall’asfalto parzialmente coperto da terra rossa e comunque con molte buche.

 

A questo vanno aggiunte alcune fermate, dietro una corda tesa, per pagare il pedaggio.

 

La strada è molto frequentata. Da una parte milizie locali, dall’altra i Wagner russi, controllori dell’ordine pubblico.

 

 

 

 

 

 

E poi ci sono i lunghi camion carichi di legname, il prezioso ebano che sta sfoltendo la foresta.

 

 

Come se non bastasse ci sono i taxi locali, una incredibile sequela di auto cariche all’inverosimile, che strisciano su quell’asfalto incerto. La gente sta in piedi sul cofano della vettura o in bilico sul retro di un bagagliaio stracarico, per centinaia e centinaia di chilometri: veri equilibristi. Non ho resistito e ho fatto alcuni scatti dalla mia auto: tutti quelli che mi hanno visto mi hanno insultata.

 

 

 

 


 

 


Ed ecco che ritorna il perché di tale odio

Un ragazzo incontrato all’aeroporto è un dentista che vive e lavora a Francoforte e viene qui due /tre  volte all’anno a trovare i genitori. mi dice che la gente non vuole essere fotografata perché oggi viene messo tutto sui social e se il mondo esterno vede la realtà, cioè come vivono, senza fare nulla, magari vengono tagliati i fondi degli aiuti, su cui vive la maggior parte della popolazione.

Ma vorrei credere ad un altra versione, datami da un tassista, che ha vissuto in Texas ed è tornato con la speranza di aprire una ditta di noleggio tutta sua. La gente qui è terrorizzata. Se vieni ripreso su un giornale locale non ci sono problemi, ma se, per caso, la tua foto appare in giro per il mondo, potresti essere incolpato dal governo di spionaggio e, per questo, esiste il carcere duro.

Le cascate di Boali non sono nulla di eccezionale. Forse perché mi sono trovata lì nella stagione secca, e, malgrado la totale assenza di turisti, in realtà mi sembra tutto così poco interessante.

 

 


Decisamente più interessante l’incontro, al ritorno, con un altro popolo in difficoltà, i pastori Peul .

I grossi problemi causati dalla desertificazione nei paesi vicini, come il Ciad, il Burkina Faso, il Niger, la Nigeria, ecc. hanno spinto i Peul a cercare nuovi pascoli e fonti d’acqua. Migliaia di Peul sono arrivati nel paese, e si stanno spostando all’interno della Repubblica Centrafricana, cercando le sorgenti d’acqua più generose per le loro mandrie, e quindi occupando anche dei territori dei locali. I Peul sono essenzialmente mussulmani, ed anche questo è un ulteriore problema. I Peul sono bersaglio delle bande armate, le milizie cristiane di auto difesa Anti-balaka formatisi nella guerra civile del 2012, contro i ribelli a maggioranza mussulmana. A loro volta i Peul sono costretti a stringere alleanze con gruppi ribelli per difendere le loro mandrie. D’altro canto i locali non vogliono che i Peul attraversino con il loro bestiame i terreni già così difficili da coltivare.

Ho incontrato un gruppo di Peul. Il capo mi ha accolta con grandi sorrisi e mi ha lasciato trascorrere un po’ di tempo con la sua grande famiglia. Malgrado l’impossibilità di comunicare verbalmente, i sorrisi dei bambini aprono tutte le porte.

 

 

 

Si ritorna nella poco socievole Bangui: una fermata a vedere la cattedrale

Ed un giro al mercato, dove sono stata minacciata quando cercavo di fotografare un banco del pesce ed uno di frutta.

 

Decisamente meglio  le ultime serate trascorse con gli amici che vivono qui, coloro che mi hanno permesso di fare questo viaggio straordinario, in un paese davvero poco conosciuto nel nostro mondo, ma che purtroppo rappresenta perfettamente l’universo Africa di oggi, con grandi contraddizioni, enormi difficoltà, un passato difficile, ed un futuro, purtroppo, sempre più in salita.

 

Quando ho detto che sarei andata nella Repubblica Centrafricana, nessuno ha fatto commenti. O meglio, il 90% ha detto: “ok”, probabilmente perché non sa neanche dove si trovi, e l’altro 10% ha fatto una smorfia, come per dire: “ancora l’Africa strana!”. Tutti, credo, senza veramente sapere che questo è uno dei paesi più pericolosi del mondo. Già’ perché mentre in tv si sentono notizie tragiche e si sconsiglia vivamente di andare in molti paesi, nessuno ha mai detto che la Repubblica Centrafricana viene subito dopo la Somalia, la Siria e l’Afghanistan e prima di Mali, Yemen, Libia ed Iraq.

Vi lascio una carrellata di ritratti, volti cui auguro un futuro migliore del presente

 

 

 

ed alcuni ritratti in versione teatrale


 

 


L’ultimo saluto va a lui, come rappresentante di una generazione di giovanissimi, che forse non sanno di essere davvero dei piccoli eroi

 

 

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